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domenica 5 maggio 2013

Appunti su Serena


 © Lucio De Bortoli - Appunti su Serena
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Nel 1907, il ventunenne Luigi Coletti, rispondeva all’abituale sfogo di Serena nei
confronti di Bailo dimostrando di avere già le idee ben chiare:
E’ poi innegabile come egli abbia meriti grandissimi. Quale raccoglitore egli è meraviglioso, ed ha
salvato all’arte e alla città oggetti innumerevoli e preziosi. Purtroppo a lui mancano quasi
completamente doti di ordinatore. Ma, credo, professore, che in questi anni è forse assai più utile
l’opera del raccoglitore; più tardi verrà quella dell’ordinatore, che scevererà il buono dal meno
buono, che potrà adottare un metodo e abolire l’empirismo: ora, e ancora per poco, è necessario
raccogliere, perché raccogliere vuol dire salvare” 1
Chissà come avrà reagito il destinatario di fronte a tanta, fredda, lucidità? Non
conosciamo la risposta, se mai ci fu. Le qualità che il maestro aveva colto nell’allievo
producevano ora un giudizio tranciante ma esatto; e, in fondo, generazionale. Al di là
ora dell’oggetto in discussione, vale a dire la centralità onnipotente di Bailo2 e la sua
gestione monopolistica di Museo e Biblioteca, gestione che da tempo, sia pur in
privato, Serena, a torto o a ragione, attaccava duramente, quel che colpisce del
passaggio epistolare è la messa a fuoco di Coletti del concetto di ricerca. Questi
infatti individuava i tratti fondanti di un’intera e lunga stagione di scavo alla quale
verrà poi incollato il marchio, chissà quanto benevolo, di erudizione. Resta il fatto
1Corrispondenza Serena. Anno 1907, 29 agosto (Si ringraziano i discendenti di Augusto Serena, e in
particolare Francesco e Aurora Serena, per la consultazione di ciò che rimane del fittissimo carteggio
di Serena. I materiali disponibili consistono in una serie di cartelle che raccolgono la corrispondenza in
arrivo degli anni 1897, 1901, 1902, 1903, 1907, 1908, 1909, 1910, 1911, 1912, 1913, 1914, 1918,1919.
Sulla base degli accenni nella lettera, si apprende che Serena si augurava che Coletti potesse presto
assumere la responsabilità dei monumenti cittadini e criticava apertamente l’operato di Bailo, che
giudicava disordinato e incontrollato. Su Luigi Coletti junior (1886-1961), storico dell’arte e studioso,
leader della cultura trevigiana nel primo dopoguerra, si vedano i contributi in Coletti Luigi, cittadino,
storico dell’arte, Atti del convegno di studi nel centenario della sua nascita, Treviso, 1986.
2 Su Luigi Bailo (1835-1932) e sull’ambiente culturale di cui fu uno, forse il maggiore, dei
protagonisti, cfr. P. SAMBIN, Studiosi di storia trevigiana tra Otto e Novecento, in Tomaso da
Modena e il suo tempo. Convegno internazionale di studi per il 6° centenario della morte. Treviso 31
agosto- 3 settembre 1979, Treviso 1980, pp. 21-32 e, in particolare, B. FERRARI, La figura e l’opera
erudita dell’abate Luigi Bailo, tesi di laurea, Università di Padova, Facoltà di Magistero, a.a. 1961-62.
 © Lucio De Bortoli - Appunti su Serena
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che Bailo, Bampo, Marchesan, Serena, Lizier, Battistella e altri, in ambito trevigiano
appartengono pienamente a quella stagione di raccolta che, dalla seconda metà
dell’Ottocento ai primi decenni del nostro secolo, costruirà e consegnerà alla ricerca
settoriale e scientifica un immenso repertorio di eventi e di conoscenze. E sarebbe
vano, oltrechè sterile, dibattere sul carattere di tale raccolta, sulla prevalenza cioè in
essa del principio dell’accumulo di contenuti rispetto al loro ragionato impiego, a
volte fine a se stesso o apparentemente privo di un disegno. Si trattava infatti di
trovare per poi ordinare, un’operazione che non poteva che essere un effetto della
prima.
Stabilire l’intensità in Serena di tale pulsione non è facile. E’ per questo che vien
spontaneo chiedersi quale potrà essere stata la sua reazione alle parole del Coletti.
Serena non aveva, infatti, la vocazione del raccoglitore disinteressato, alla Bampo per
intenderci. Egli raccoglieva, ma la sua indole sembrava piuttosto quella di colui che
doveva dar espressione al raccolto, anche a scapito, come gli è stato più volte
rimproverato, del rigore filologico; anche a scapito, come avremo modo di notare,
della completezza del quadro.
Si tenga poi preliminarmente conto che il carattere autentico dell’intellettuale emerge
d’altronde soprattutto nelle analisi storico-letterarie, là dove può calibrare, con
risultati di indubbio fascino stilistico, i dati con lo spirito, i metri con l’arguzia e
l’acutezza. Di letteratura Serena si occupò sempre, anche quando partiva per le sue
frequenti incursioni nella storia. Appare questo, infatti, il suo timbro peculiare:
cercare i segnali del passato nei documenti e animarli 3, dar loro voce, espressione
3 “Egli sapeva animare e rendere attraente qualunque, anche modesto argomento, di cui si occupasse”,
secondo la perfetta intuizione di Augusto Lizier, che, del resto, ben lo conobbe; Augusto Serena,
Archivio Veneto, vol.XXXVI-XXXVII, Deputazione di Storia Patria, 1946. La citazione è tratta
dall’opuscolo edito da Longo e Zoppelli, Treviso 1946, p. 3. Su Augusto Lizier (1870-1950), si veda il
profilo commemorativo di L. LUZZATO, Augusto Lizier, in Archivio Veneto, LXXIX (79), 1950,
pp.157-164.
 © Lucio De Bortoli - Appunti su Serena
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emotiva. Vitalizzare figure e situazione oscure, magari forzando, piegando gli angoli
della filologia e riportando in superficie i passaggi cercati e che si volevano trovare.
E, del resto, si legga quanto scriveva, in occasione della commemorazione di Antonio
Battistella, a proposito dell’insegnamento universitario di Giuseppe De Leva, alla
scuola del quale, entrambi, Serena e Battistella, si erano formati:
Ma, quando udì Giuseppe De Leva esporre dalla cattedra le leggi del sapere storico e le leggi che
governano la storia, e mostrar come dalla sagace consultazione del documenti si dovesse salire al
natural collegamento e al giusto giudizio de’ fatti umani; quando lo udì -come noi pure lo udimmo
ammirati, e non lo dimenticheremo mai- avvivar la narrazione con la semplice e potente eloquenza del
proprio sentimento, e indurre testimonianti nel loro stesso linguaggioantichi annalisti e cronisti e
notari, quasi testimonianza viva di sepolti nel gran dramma della storia [...] quando udì Giuseppe De
Leva, egli ebbe chiara la visione del metodo e del fine dei propri studi.4
“Natural collegamento” e “giusto giudizio” dunque, vale a dire salire appunto dai
documenti ai piani dei sentimenti e delle umane passioni. A conferma, si può porre
sul piatto l’intensa, ininterrotta, copiosa, produzione lirica dell’autore, le sue
propensioni, il temperamento, persino l’inventario della sua biblioteca5 . Augusto
Serena era un uomo di lettere e quando si occupò di storia lo fece da letterato, con lo
spirito e il rigore stilistico dell’erudito per il quale tutto è conoscenza, per il quale è il
sapere che muove il mondo. Ma, ciò che più conta, è prendere atto che l’uomo di
4 Commemorazione del m.e. prof. Antonio Battistella, in Atti dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere e
Arti, XCVI, p.I, aa.1936-37, Venezia 1937. Per quanto riguarda De Leva cfr. C CAPASSO, De Leva
Giuseppe, in Enciclopedia Italiana, XII, p.522; e in generale sull’ambiente culturale della facoltà di
Lettere negli anni ottanta dell’Ottocento, di veda la relazione di G.M. VARANINI, Augusto Serena
nella tradizione erudita trevigiana fra Otto e Novecento, in Augusto Serena (Letterato Storico
Intellettuale), Convegno di Studi, 25.10.1997, Montebelluna (relazioni disponibili presso la Biblioteca
Comunale di Montebelluna)
5 L’inventario della biblioteca di Serena venne sommariamente redatto da un funzionario della
Biblioteca Civica di Treviso poco dopo la morte dello scrittore. Ci torneremo. Per il momento basti
osservare che buona parte degli oltre diecimila volumi posseduti da Serena erano opere di letteratura
italiana. Vi era, ovviamente, una corposa raccolta di opere di storiografia locale (Burchielati, Federici,
Avogaro e altri, sino ai contemporanei Marchesan, Agnoletti, Bailo, Coletti, Michieli e così via), e di
 © Lucio De Bortoli - Appunti su Serena
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lettere si occupò di storia per poter celebrare e dar così l’unica forma che gli apparse
degna all’amore assoluto che provava per la natìa Montebelluna.
Augusto Serena viene al mondo il 29 febbraio 1868, un anno importante.6 E’ infatti
nell’estate di quell’anno che la giunta comunale nomina una commissione incaricata
di verificare condizioni e costi di sistemazione del vecchio mercato sul colle.7 La
commissione valutò e gli ingegneri calcolarono i costi. Alla fine si capì che per
trasportare il mercato in piano si sarebbe speso la metà della cifra occorrente per il
riatto di quello secolare sul colle.
E così, nel giro di appena tre anni nacque dunque Montebelluna. I cinque villaggi
dispersi sui quasi 5000 ettari di territorio avevano finalmente un centro, un’identità,
un punto di riferimento urbano, economico e sociale. Il piccolo Augusto Serena potè
così passeggiare tra l’intonaco fresco dei muri nuovi della Montebelluna geometrica e
razionale di Giovanbattista Dall’Armi. La lenta mutazione della comunità rurale in
periodici locali e istituzionali. Gli elenchi sono in BCT, Bibliografia Trevigiana, busta Augusto
Serena, carte diverse.
6 Augusto nacque da Luigi (18.3.38-30.4.1901) e Anastasia Filomena Favero Cividal (24.10.1839-
2.6.1908) che si erano sposati il 21 febbraio del 1861. Dei suoi fratelli solo Giovanni e Giuseppina gli
sopravvissero. Giuseppe e Ludovico morirono presto, rispettivamente nel 1911 e nel 1914. Le famiglie
Montebellunesi che parteciparono ai funerali del padre Luigi (vissuto settantre anni/di vita travagliata
in/umile fortuna/serbando una mente argutissima/cui si conveniva miglior sorte, dal necrologio di
Augusto, cfr. Notizie genealogiche sulla famiglia Serena, in Appendice a Cronaca Montebellunese,
ed. postuma, Treviso 1948, p. 329) sono quelle con cui Serena mantenne per sempre qualche rapporto
(Celotto, Pulini, Fasan, Conte, Bianchin, Bergamo, Severin, Mattiello, Legrenzi); si veda, in BCMb, il
materiale documentario (in gran parte corrispondenza ricevuta, attestati, note spese) che si indica d’ora
in avanti come Fondo Serena, Funerali Luigi Serena (bozza autografa di Augusto dell’epigrafe,
elenchi, partecipazioni).
7 Archivio Storico Comunale Montebelluna, b.792, Trasporto Mercato. Materiali riassuntivi e delibere.
La questione del trasporto aspetta ancora una capillare ricostruzione. Chi scrive ha depositato in
Biblioteca Comunale le schedature del materiale archivistico concernente il trasporto. Nel frattempo,
sia consentito il rimando a L. DE BORTOLI, Giovan Battista Dall’Armi e il nuovo mercato, in Parco
Manin e Dintorni (Un programma per la salvaguardia e la valorizzazione degli spazi aperti nella città
di Montebelluna, Seminario di Studi a cura de la Fondazione Benetton-Comune di Montebelluna, 2/3
aprile 1993. I contributi del seminario possono essere consultati in Biblioteca Comunale.
 © Lucio De Bortoli - Appunti su Serena
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comunità civica -solo formale con l’istituzione del comune napoleonico e austriaconegli
anni che immediatamente precedono e segnano il volano urbano del nuovo
centro riceve ora nuovi impulsi. Si può cominciare a parlare dunque di un piccolo
nucleo di borghesia delle professioni e dei commerci, capace, anche se nettamente
minoritario, di distinguersi dal mondo rurale e della possidenza, contrapponendosi,
sul piano delle scelte fondamentali, all’egemonia culturale della chiesa.
La vicenda del trasporto, con il suo cascame di polemiche e di divisioni in clericali e
anticlericali, è in questo senso emblematica. Lo spostamento colpiva indubbiamente
gli interessi materiali della chiesa che avrebbe così perduto le rendite degli affitti
provenienti dal suolo mercantile; d’altro canto, non si può nemmeno ragionevolmente
sostenere che il trasporto non fosse necessario, per più di una ragione e non solo
economica.8 Il trasporto era un’occasione storica, la sola, almeno allora, in grado di
poter far da balia alla crescita di una città. La decisione del consiglio comunale fu
quindi, al di là degli sviluppi contradditori che smentiranno in buona parte i
propositi9, una laica assunzione di responsabilità. La storia aveva dunque voltato
pagina dando vita a spaccature (laici-cattolici) che accompagneranno per molto
tempo ancora la maturazione -lenta, troppo lenta- delle rispettive coscienze10.
8 Le ragioni sono in parte individuate dallo stesso Serena, ne la Cronaca cit., pp.138-140 che riporta
anche qualche cenno dell’offensiva clericale. In verità la campagna di stampa, ad esempio, nei
confronti del sindaco Zuccareda fu particolarmente virulenta e condotta a colpi di eretico e di
scomunicato (cfr. per questo De Bortoli, Giovan Battista Dall’Armi cit., p.2-3)
9 Per il contesto storico sociale in oggetto si veda il profilo di G. NICOLETTI, La società
montebellunese tra fine Ottocento e inizi Novecento, in Augusto Serena cit. (convegno), relazione; e
idem, La nascita del Parco Manin, in Parco Manin e Dintorni cit. (Seminario), relazione
10 Lo scontro clericali-anticlericali non gode, nel montebellunese, almeno sino a Guido Bergamo, di
bibliografia. Esistono memorie, diari, noterelle più o meno di parte e di cui è qui inutile dar conto.
Eppure, la questione incise talmente nel profondo che periodicamente riaffiora, anche ai giorni nostri,
in reciproche frecciate. L’ultimo capitolo strumentalizzato in tal senso è la questione del progetto
edilizio della cosiddetta casa degli esercizi spirituali di proprietà della Curia. Nella vicenda si
sollevarono molte polemiche, col risultato di far passare in secondo piano il merito autentico del
problema: la datazione e il valore storico-architettonico dell’ex casa parrocchiale, progettata negli anni
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Serena crebbe in quel mondo, parte integrante, nei diversi e articolati rami del suo
ceppo famigliare, di quella sostanza borghese. Una famiglia, la sua, che annoverava e
avrebbe annoverato tra le sue fila commercianti e artigiani, insegnanti e pittori. Un
ambiente che lo stesso Augusto si sarebbe incaricato di immortalare, secondo i canoni
di una tradizione fondata sull’orgoglio del proprio nome e, per dirla con Guicciardini,
del proprio particulare, correttamente inteso nei termini dell’onore e del rispetto per
la propria identità che indica a Enrico Serena, al quale dedicava le proprie memorie di
famiglia:
Ti dico subito però, che, se vi si cercano documenti di fortuna e di gran fama, c’è poco da stare
allegri; ma, se di laboriosa onestà, da contentarsene. 11
Un famiglia di gente in ogni caso “pratica”, laicamente orientata a una visione del
mondo e delle cose nella quale assegnare una giusta funzione alla fede. Augusto fu un
uomo di fede, profondamente convinto che essa dovesse essere tenuta e coltivata
nell’animo e nella coscienza. Egli fu quindi e totalmente un liberale di fine Ottocento,
laico quanto bastava per poter e dover essere ritenuto, politicamente, un anticlericale.
Del resto, ripercorrere qui note distinzioni tra fede e apparati, tra spirito religioso e
incursioni politiche, tra intima moralità e riflessi sociale, appare ozioso. Diciamo
così: Augusto Serena non ammetteva che i principi morali e religiosi condizionassero
e si sovrapponessero ai principi dello stato e delle leggi. E in questo egli era
integralmente laico; un laico intensamente credente.
ottanta del ‘600 e che, incidentalmente, la stampa, pervicacemente, continua a considera un
“palazzotto ottocentesco”.
11 Notizie genealogiche cit., p.323. Enrico Serena era figlio di Eugenio, primo cugino dello scrittore.
In quest’ottica si veda anche la celebrazione dell’eroismo al fronte del fratello di Enrico, Eugenio
Leopoldo Serena, Treviso 1937. Il celebre pittore Luigi Serena era primo cugino di Augusto.
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Naturalmente, la parola chiave che dovrebbero essere sempre tenuta d’occhio quando
si affrontano tali temperie, è contesto. E il contesto in cui si svolse la vicenda
intellettuale e culturale di Serena fu la stagione ben nota dello scontro ideologico tra
le classi dirigenti dello stato unitario, liberali e anticlericali, e la galassia, variegata e
articolata, del mondo cattolico. Esaurita la spinta delle generazioni risorgimentali, la
radicalità dei due mondi contrapposti andò lentamente sfumando, soprattutto quando
comparve il movimento socialista. Ma fu un processo lungo e scompaginato
dall’irruzione del fascismo. Non è comunque questa la sede per ripercorrere, anche
solo per accenni, una questione tanto enorme.12
Per quanto ci compete, è per ora sufficiente ricordare che la netta scelta di campo
laicale non impedì a Serena di riconoscere il magistero e l’immenso giacimento
culturale e morale dell’istituzione ecclesiatica. E’ infatti in essa che lo studioso, dopo
gli insegnamenti locali del maestro Sanson, si formerà e degli anni trascorsi alla
scuola ginnasiale del Seminario vescovile ritornerà spesso con la memoria, con
sentimenti misti di orgoglio e di affetto per i suoi docenti, in particolare per gli
Ogniben, Agnoletti, Milanese, maestri di vita e di rigore13. Ma sarà solo nel corso
dell’esperienza universitaria che egli maturerà la sua ben nota ostilità al temporalismo
della chiesa. Basterà del resto osservare l’attenzione che il giovane intellettuale
dedicherà al modernismo e a figure come quelle di Fogazzaro e di Antonietta
Giacomelli, quest’ultima personalità complessa e di deciso interesse, al punto che
12 La vastità della bibliografia sull’argomento consiglia di rimandare alla lettura di qualche ottima
ricostruzione generale, ad esempio le voci tematiche in Storia d’Italia, a cura di F. Levi-U. Levra-N.
Tranfaglia), 3 volumi, Firenze (Nuova Italia), 1978. Si veda, inoltre, in particolare sulla reazione alla
secolarizzazione e per l’elaborazione del modello della società cristiana medioevale da contrapporre
alla modernità, D. MENOZZI, La Chiesa cattolica e la secolarizzazione, Torino 1993; infine, il
recente e ottimo quadro fornito da GM. ROSSI, Il movimento cattolico tra Chiesa e Stato, in Storia
d’Italia, 3, a cura di G. Sabbatucci e V. Vidotto, Bari 1995, pp. 199-247.
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Serena vi ritornerà in più di un’occasione.14 Ciò che emerge, anche se nel tempo, è
quindi un’evidente simpatia per il cattolicesimo liberale di Rosmini o comunque per i
propugnatori del rinnovamento secondo una linea di conciliazione tra stato unitario e
laico e chiesa cattolica15. Un cattolicesimo dunque, come è stato sottolineato,
francescano e tollerante, immune dalla contaminazione socio-economica dell’Opera
dei Congressi e dell’interventismo strumentale delle strutture assistenziali e
cooperativistiche; e in tal senso si leggano i versi dell’Epistola Seconda dedicata a
don Angelo Marchesan, il cui profilo di prete dabben esce come negazione di quello
che
.....orribili fantasmi
agita accorto su l’ignare plebi
ad ottener di tenebrose schede
agevole fortuna, e la stremata
gente irretir con agile congegno
di cattoliche Banche e Sindacati
13 Cfr. le lettere pubblicate da PESCE L., Commemorazione di Don Angelo Marchesan. Appendice:
carteggio inedito Serena-Marchesan, in Atti e Memorie dell’Ateneo di Treviso, n.s., 2, a.a. 1984-85,
pp. 153-216
14 Cfr. Le poesie di Antonio Fogazzaro, in Atti del Regio Istituto Veneto di scienze, lettere e arti, a.a.
1941-42, Venezia 1942, pp.301-307; La raccolta di Antonietta Giacomelli, Adige, XXXIX, 183,
Verona 1899; Il nuovo libro di Antonietta Giacomelli (recensione), in Coltura e Lavoro (d’ora in poi
Cl), XLI, (1899), n.7; [Ariele]Giacomelli Antonietta, (recensione di Pagine sparse) in Cl, XLIV
(1902), n. 3. La bibliografia su Antonietta Giacomelli (1857-1949) è copiosa; cfr. almeno A.A.
MICHIELI., Una paladina del bene. Antonietta Giacomelli (1857-1949), Rovereto 1954 e L.
URETTINI, Antonietta Giacomelli nella documentazione curiale, in Studi Urbinati di storia, filosofia
e letteratura, n.2, 1975, pp.453-497. Per quanto attiene al modernismo e alla sua condanna da parte di
Pio X -papa legato ai settori più retrivi dell’intransigentismo veneto- ci si limita a rimandare a Rossi, Il
movimento cattolico cit., pp. 229 e segg. e alla sua copiosa bibliografia.
15 Cfr. Epistole, Roma 1897; Bonghi e il papa, “Corriere di Treviso”, 8.12 e 11.12.1902; La
resipiscenza d’un gran Vescovo, in Cl, LII (1911), n.11. Un episodio rosminiano, in Atti della Regia
Accademia degli Agiati di Rovereto, XVIII, fasc.3,4, Rovereto 1912 (estratto), in cui il racconto della
reazione di monsignor Zinelli al regalo del trattato Delle cinque piaghe di Rosmini (“montò su tutte le
furie; e brandita la penna che veramente sapeva le tempeste, la intinse nell’inchiostro più nero ch’egli
avesse, per segnare la sua fiera protesta..”), è pervaso di ironica simpatia; dello Zinelli il Serena si
occupò ancora in, Bibliografia zinelliana, in Cl, LIV (1913), n.2. Infine, si veda, Precursori della
conciliazione nel salotto di Andriana Zon Marcello, Treviso 1937.
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9
[...]16
Ci torneremo. Nel frattempo ciò che colpisce di Serena studente universitario è lo
straordinario attivismo. Non ancora ventenne rilascia un omaggio in versi a Don
Girolamo Janna, primo di una serie di ritratti dedicati ai prevosti montebellunesi.17 In
questa prima fase, tra la fine degli anni ottanta e i primi anni novanta, gli interessi
sono già ben delineati: Montebelluna (la sua storia e le sue figure), recensioni e
esercizi di critica, la poesia e suoi generi, la polemica civile. Di tale intensa e
convulsa stagione si trova traccia nella corrispondenza che riceve, in particolare da
Verona e dal redattore di Cronaca Rosa, rivista stampata e posseduta dall’editore
veronese Annichini.18 Tracce che sono ancor più copiose nelle belle e ardite lettere
spedite a Marchesan, autentico e disinteressato fratello maggiore, confidente senza
veli. E’ un Serena, quello del rapporto con Marchesan, che appare dominato da forti
passioni, diretto, impulsivo ma anche immune dalle cautele e dai tatticismi “borghesi”
della maturità. Un temperamento nitido e poco incline a piaggerie e rituali, che svela
progetti, sentimenti e intenzioni con massima franchezza.
E’ il caso, ad esempio, della franca recensione dell’opera dell’amico, L’Università di
Treviso, spiegata e motivata in una lunga e bellissima lettera-confessione, una
16 Epistole cit., Epistola Seconda, vv. 19-24. Le posizioni di Serena non erano sempre condivise in
famiglia. In particolare dall’anziana zia suor Maria Ignazia che soffriva terribilmente nel “sapere che
sei ben diferente da quello che eri prima che l’aria dell’Università ti spirasse intorno” e “nel poco
rispetto che porti alla Gerarchia Eclesiastica...” (cfr. BCMb, Fondo Serena, Corrispondenza 1896,
senza data.
17 Al Reverendissimo Monsignor Don Girolamo Janna, Montebelluna 1885. Oltre al Brunello e al
Dalmistro, di cui si dirà, cfr. anche Nicolò Leonico Tomeo, in Cl, XLIII (1901), n.12 (poi in Appunti
Letterari, Roma 1903, pp.5-32), colto e raffinato prevosto cinquecentesco; e le pagine dedicate a
Antonio Galanti, Care Memorie, in Cl, LII (1911), n.12.
18 Corrispondenza Serena (Biblioteca Montebelluna). Anno 1890. Lo scambio tra Serena e il direttore
Poggiani (24 marzo) si incrocia con quello tra Serena e Germano Annichini (24.12), visibilmente
deluso dall’operato del Poggiani. Siccome la rivista non decolla e non riesce a pagare i contributi ai
collaboratori, Annichini chiede al laureando Serena di attivarsi per far sottoscrivere qualche
abbonamento alla rivista (28.12).
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risposta al risentimento dell’autore, un manifesto programmatico di vita e di impegno,
una richiesta d’aiuto:19
L’altra osservazione che mi fai, è questa: “Non scrivere su per i giornali; e tanto meno nel Corriere di
Treviso; aspetta dieci anni. No, non aspetterò a prepararmi dieci anni; […] morire senza aver menato
un po’ le mani...via, la sarebbe dura! Dunque io scrivo su per i giornali. [...] Scrivo su per i giornali
per combattere fieramente per le mie idee come gli altri per le loro. [...] Scrivo su per i giornali, non
per corrompermi lo stile, ma per renderlo più agile, più franco, più vivo che non lo abbiano i topi di
biblioteca [...]
Ma dopo l’impeto e la rivendicazione di sè, ecco subentrare lo sconforto,
l’amaritudine, lo spaesamento dell’esule (Serena scrive da Massa Carrara dove aveva
rimediato una cattedra), la ricerca di un’ancora o di un approdo sicuro:
Tu, e per l’età e per gli studi e per la vita migliore, hai diritto di confortarmi, d’ammonirmi, di
correggermi. [...] Tien conto di queste parole; e comunque possano volgere diversi i casi della nostra
vita, non cessare di mandarmi la tua parola buona e giudiziosa. Tante volte avrò bisogno di freno. Io
ero buono, mite, tranquillo; non sognavo che il mio paese, mia madre, e una bella testa bionda e
gentile; non vivevo che per gli altri, per gli studi miei, e per l’avvenire; credevo ancora con
l’ingenuità d’un bambino; non sapevo né odiare, né maledire, né disperare. Ma il destino [...] ha
distrutto tutto: e in questa povera anima mia (...) ora non sento che una amaritudine desolata e talora
selvaggia
Ma, per tornare al temperamento, si legga la fiera, schiettissima, reazione ai
rimproveri, certamente aspri, del Marchesan a proposito dell’impegno politico di
Serena e del libello con cui, durante le elezioni amministrative del ’93, questi aveva
attaccato senza mezzi termini le posizioni del partito clericale e le sue “imprese
19 Le lettere di Serena a Marchesan sono state, come detto, pubblicate da Pesce, Carteggio cit., al
quale si antepone un ottimo profilo di Monsignor Angelo Marchesan (1859-1932) con abbondante
bibliografia. In occasione della sua morte, Serena ne redasse il necrologio, Angelo Marchesan, in
Archivio Veneto, 11 (1932), pp.368-375). La lettera citata è datata Massa Carrara, gennaio 1893, pp.
182-83. La recensione di Serena, L’Università di Treviso di Marchesan, apparve nel “Corriere di
Treviso”, I, n.80, 31.12.1892.
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settarie”, finendo così per diventare bersaglio dell’acre sarcasmo del direttore di Vita
del Popolo. Il tono e il registro dell’autodifesa sono inequivocabili:20
Ragiono sopra fatti storici accertati da documenti la maggior parte fornitemi da voi stessi; espongo
francamente opinioni mie; non parlo di persone, ma di vizi e di errori d’istituzioni anche buone;
censuro lavori e imprese settarie (...)e di tutto quanto assumo onestamente la responsabilità giuridica
e morale io, e stampo col mio nome
E più avanti:
(...) so che m’accusano d’aver morso la mano che m’ha beneficato. (allude alla frequentazione del
Seminario) [...] E lavorino pure di calunnie e di contumelie (...) io seguito, mesto ma sicuro, la mia
strada; nella certezza che il sacrificio di sé pe’l trionfo della moralità e della giustizia sia cosa
degnissima dello spirito umano.
Ma è solo nell’infiammato finale che la posizione ideologica si staglia chiarissima e
sale in primo piano:
E nell’angusta cerchia ove io vivo, nel mio paese, ove, sotto il manto della religione che rispetto,
vègeta tanto vizio di mente e di cuore; nel mio paese, ove un clero, che personalmente non giudico ma
collettivamente non credo degno di nessunissima stima, fomenta intestine lotte politiche e
amministrative invece di sedare le ire e comporre le dissensioni e poi lasciare ai cittadini vivere libera
la vita civile; nel mio paese, con la mia scarsa mente, ma col mio cuor caldo combatterò sempre,
francamente. Perché, credilo, non è questione di religione! Perché collegarsi con una fazione a danno
d’un altra, quando gli uomini della prima sono irreligiosi, miserandi, e moralmente più spregiudicati
di quelli della seconda? Allora di Dio, della messa, e della morale, e della religione non v’importa
niente! E, dunque, che cosa ci predicate? O siate giusti, o neutri! [...]
A me hanno insegnato, che ogni uomo va rispettato; non ogni opinione. Rispetteresti tu una opinione
perversa?
L’impressione è che, comunque, a portare Serena sul terreno della polemica politica
siano stati più gli eventi nei quali si trovava trascinato, a volte suo malgrado, e che
affrontava di petto e sovente in modo anche maldestro, che l’effettiva vocazione ad
un’arena di questo tipo. Non a caso le frequentazioni e le pubblicazioni a cavallo
della laurea in Lettere con Giuseppe De Leva21 (conseguita il 30 giugno 1891) sono
20 Pesce, Carteggio cit., lettera da Montebelluna, probabilmente dell’estate del ’93, pp. 184-185.
21 BCMb, Fondo Serena, Attestati in copia.
 © Lucio De Bortoli - Appunti su Serena
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in gran parte concernenti interessi e tematiche storico-letterarie. L’intensa
collaborazione del giovane universitario patavino (domiciliato in via Teatro S. Lucia,
584) con l’editore Annichini di Verona, troverà espressione compiuta nella prima
ricognizione su Montebelluna, in cui Serena rilegge e compila in modo originale i
fatti riportati da cronisti veneti e trevigiani22 e nella collaborazione, già ricordata, con
il periodico di varia umanità Cronaca Rosa. La consuetudine con Annichini
proseguirà con le prime tre Epistole (In campagna. Epistole tre, 1895) e con la storia
di quel secondo luogo natìo che per Serena fu sempre Venegazzù, il paese di Elvira
Masobello che sposerà nel 189923 e la cura dell’amatissimo don Giuseppe Durante,
nella cui figura Augusto reperirà i tratti peculiari del sacerdote modello. Quando
morirà, nel 1906, lo scrittore gli dedicherà pagine commoventi, ma soprattutto
indicative del profilo sacerdotale che egli incarnava:24
Non era un politico: la politica grande gli era un enigma, la piccola un tormento. Era profondamente
cristiano, schiettamente italiano: ma le combinazioni chimiche e le leghe della religione e della
politica erano, alla sua anima patriarcale, quali sarebbero gli esperimenti degli alchimisti alla mente
d’un fanciullo. “Sarà parchè son vecio -mormorava- ma non capisso pì gnente!” Talora, rapito nella
giostra della politica grande, girava come un trasognato; coinvolto nelle gare della piccola, sospirava
dal cuor profondo “quanto megio volerse ben tuti!”
22 Montebelluna, Verona 1890. Oltre che con Annichini, Serena, che stampava ogni tanto anche per
l’amico tipografo Alvise Pulini, a metà degli anni novanta inizierà una proficua collaborazione con gli
editori parmensi Ferrari e Pellegrini e con la rivista “Per l’Arte”. Sono, invece, della fine del secolo e
dei primi anni del ‘900 le frequenti iniziative con Albrighi e Segati di Milano e con la tipografia
editrice Forzani di Roma, stampatori del Senato.
23 “Sappi che lunedì 1° maggio mi sposo”. A Marchesan, 10 aprile 1899 (Pesce, Carteggio cit., p.196,
che riporta in nota gli estremi del registro matrimoni della parrocchiale di Venegazzù).
24 Don Giuseppe Durante. Nel Trigesimo, Treviso 1906, passim. Il rapporto Serena-Durante appare in
tutta la sua intensità e continuità nella corrispondenza. Le lettere di Don Giuseppe sono frequentissime,
sempre molto affettuose e accompagnano ogni evento, pubblico e privato, che veda protagonista il suo
caro Augusto (la nascita dei figli, le pubblicazioni, i nuovi incarichi). Serena, come si ricava
chiaramente, era inoltre il suo segretario parrocchiale, incaricato della stesura dei sermoni dell’amico
sacerdote (cfr. Corrispondenza 1901, privata).
 © Lucio De Bortoli - Appunti su Serena
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Agli estremi rispetto alla figura di Don Durante si colloca il poliedrico Angelo
Dalmistro, prevosto per l’appunto colto e raffinato, impegnato sul piano politico e
culturale, nonché piuttosto organico al potere, qual esso fosse.25 L’attrazione per una
personalità di questo tipo appare in evidente contraddizione con il modello Durante.
Ma la contraddizione a noi pare solo apparente. In realtà, l’attenzione era
sostanzialmente attirata dal Dalmistro poeta e intellettuale, dal prevosto che utilizza le
sue aderenze per procurare alla chiesa montebellunese un importante patrimonio
artistico; del pastore di anime in realtà si dice molto poco.
Lo scrupolo attento riservato alla poesia dalmistriana riverbera efficacemente
nell’accurata ricostruzione filologica dei codici del Pietoso Lamento e
nell’attribuzione del testo a fra Ensemlino da Montebelluna, tematica sulla quale
Serena ritornerà più volte.26 A proposito dello studio del ’93 apparso per i tipi di Fava
e Garagnani, è utile segnalare la sigla ricorrente della facezia arguta con cui lo
25 Serena scrisse molto sul Dalmistro e molto se ne occupò, a partire dagli anni giovanili, nei quali
mobilitava amici e conoscenti che fossero in grado di fornirgli opere e documentazione. BCMb, Fondo
Serena, Corrispondenza 1890; in data 3 novembre l’amico Toni Visentin, in una delle sue
numerosissime missive, gli scrive che in casa e presso parenti non ha trovato nulla del Dalmistro “e
che dai Dall’armi, che io ricordi, non ha -suo suocero- mai avuto nulla”, lo stesso dicasi per Giuseppe
Monico, “in casa di mio suocero non c’è niente”. Serena stava infatti lavorando all’articolo che
pubblicherà da lì a poco, I Granelleschi di Postioma, Giornale Indipendente, a. III, n.705, Treviso
1891, una sorta di Accademia letteraria presto abortita imperniata sull’arciprete si Postioma; l’articolo
verrà in seguito ripreso col titolo Gli epigoni dei Granelleschi e le tragedie dell’Alfieri, in Cl, XLIII
(1900), n.9 e confluirà in Appunti Letterari cit., pp. 43-80. Sul Dalmistro si vedano invece: Gli amici
del Dalmistro, Verona 1889; Su la vita e le opere di Angelo Dalmistro, Verona 1892; Spigolature,
Parma 1896;Sermoni de’ migliori poeti italiani, Milano 1897; I Paralipomeni di un poeta
napoleonico, in Cl, XIL (1898), n.11. Un salotto classicista veneziano, Feltre 1902; Profanazione
catulliana, Roma 1903; Rapsodie Pedantesche, Treviso 1908; Dalmistriana, in Cl, L (1909), n.10; Il
beneficio di un poeta, Treviso 1911; Alla caccia dei Tiepoli. Galleria Sacra montebellunese, Treviso
1912; Esperimenti di colture, Treviso 1928. Nel centenario di Angelo Dalmistro, Atti del Regio
Istituto Veneto di scienze, lettere e arti, a.a. 1937-38, Venezia 1939.
26 Fra Enselmino da Montebelluna e la “lamentatio” Virginis, Treviso 1890; Fra Enselmino da
Montebelluna. Lettera aperta al reverendissimo padre Bellandi, s.n.t; L’autore del “pietoso lamento”,
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studioso amava accompagnare o concludere le sue serrate rassegne documentarie,
quasi a rispondere a un’esigenza di colore che rendesse così il testo meno chimico o
solo più spontaneo:27
Queste le nostre conclusioni: alle quali forse siam giunti con troppo lungo ragionamento, e ripetendo
cose ormai risapute. Ma “quante volte -osserva giustamente il Bonghi- quante volte, nel disputare, vi
sentite dire dal vostro contraditore: ma questo tutti lo sanno! Ed è vero, che tutti, quella tal cosa, la
sanno: ma è anche vero che era proprio quella ch’egli nascondeva a voi e talora a sé, pur di parere di
aver ragione”.
D’altronde, Serena amava gli approcci letterari alle questioni del suo tempo. Il dato è
verificabile nelle sue numerose raccolte in versi (in particolare nelle Epistole), sia
nell’accademismo un po’ arcaico del suo registro carducciano, immerso nel culto di
un versificare virile e chiuso, sia nelle rime in dialetto, rivolte, in verità,
all’espressione quasi esclusiva dei sentimenti e della religione degli affetti.28 E’ così
che affronta la questione del Montello e il ginepraio di proposte e controproposte che
porteranno alla colonizzazione della legge Bertolini del ’92.29 Il poemetto Barbarigo
su l’afar del Montello, dedicato agli sposi Masobello-Chiarelotto, getta infatti luce
interpretativa su La questione montelliana, pezzo apparso nello stesso anno
nell’Adriatico in cui l’iter della tematica viene ricostruito precisamente e con qualche
distacco.30 Lo scetticismo dell’autore sull’intera operazione emerge, invece, piuttosto
in Propugnatore, n.s., VI, fascicoli 34 e 35, Bologna 1893; Fra Enselmino da Montebelluna, in Cl, XLI
(1899), n.2.
27 L’autore cit., p. 36.
28 Uno squisito esempio: No stè pensar, testine more e bionde / no stè pensar, putèi cussì bonora / el
Pensier xe la tarma che se sconde / e ‘l zervèl ne consuma e ne trafora. Cfr. Cl, a.54 (1913), n.12,
p.191.
29 Per la ricostruzione del dibattito e degli eventi cfr. BUOSI B., Maledetta Giàvera, Montebelluna
1992
30 Relazion de messer Lunardo Barbarigo su l’afar del Montello, in Occhi e nati, a.II, n,53, Treviso
1892; La questione montelliana, in L’Adriatico, a.XVII, n.245, 4 settembre 1892. Su Serena e il
Montello si veda la relazione di SIMONETTI E., Augusto Serena e la questione montelliana, in
Augusto Serena cit. (convegno).
 © Lucio De Bortoli - Appunti su Serena
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chiaramente nel poemetto; e si tratta di una serie di disincantati passaggi che
dimostrano, pur nella discutibilità della scelta stilistica in relazione alla tematica,
buona consapevolezza dei limiti teorici della legge e dell’inaffidabilità umana31.
Accanto a tali prime e già cospicue presenze scientifiche, Serena inizia la sua carriera
scolastica. Ed è subito opportuno precisare che l’insegnamento non fu per lui un
ripiego o una funzionale sistemazione, bensì un impegno vissuto con totale serietà e
abnegazione. Lo dimostrano l’enorme mole di lavoro didattico che si accollava, il
rigore che dimostrò nei ruoli superiori e di grande responsabilità, il segno profondo
che lasciava negli studenti.32 La sua corrispondenza racchiude un numero veramente
impressionante di testimonianze di gratitudine, rispetto e ammirazione che i suoi ex
allievi gli tributavano. In molto casi, sia pur tenendo conto, nei rapporti docente
allievo, dei radicatissimi valori epocali, si tratta di lettere commoventi e poetiche. Val
la pena di ricordare, tra le tante, quelle di Linda Garatti e di Mario Bergamo, se non
altro per ciò che diventeranno, nella vita pubblica e privata.33.
31 Si è parlato, a proposito di tale atteggiamento, dello storico ufficiale che se la cavò con un “ironico
poemetto dialettale” (Buosi, Maledetta cit. , p.15). A noi sembra che gli interventi di Serena abbiano
riguardato poco lo storico, essendo stata, ovviamente, tutta la questione materia di cronaca e di
dibattito contemporaneo. A rileggere ora il poemetto si ricava, se mai, la sensazione di una ironia
amara e, si passi il confronto umorale, guicciardiniana. A conti fatti, non pare però che Serena avesse,
nel merito, più torto di altri, autorevolissimi, competenti e naturali protagonisti. Certo, l’uomo era un
liberale ottocentesco, del tutto alieno quindi da populismi.
32 Si vedano le lettere in Pesce, Carteggio cit., passim; ma soprattutto la corrispondenza privata e
quella in BCMb, Fondo Serena. Una percentuale molto elevata (70, 80%) delle lettere ricevute
facevano riferimento, direttamente o indirettamente, alla vita scolastica.
33 Su Mario Bergamo e sua moglie Linda Garatti (sobria e elegante poetessa, cfr. Fra Sile e Senna,
Treviso, s.d., persino quando scriveva lettere dolci e piene di misura al suo amato professore) si veda
VANZETTO L., L’anomalia laica, Padova 1994 e il romanzo del figlio Giorgio Mario, Addio a
Recanati, Torino 1981.
 © Lucio De Bortoli - Appunti su Serena
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Serena inizia a insegnare, dunque. E comincia a sostenere concorsi, il primo del 25
agosto del ’91, subito dopo la laurea, nel quale si classifica al secondo posto.34 Viene
assegnato il mese seguente al liceo di Oristano, ma nel novembre lo troviamo al liceo
Maffei di Verona. A Verona stabilirà molti rapporti, farà numerose conoscenze e
rinsalderà la sua collaborazione con Annichini.35 Le peregrinazioni continueranno
negli anni seguenti, tra nomine e rinunce (Trani, Gubbio, Massa) e assegnazioni di
lunga provvisorietà (Tivoli).36 Tornerà a Verona nel ’95, ma l’anno successivo
ripartirà per Lucera, dopo l’ennesimo concorso. Nell’anno scolastico 1897-98, pur
essendo reggente ancora a Lucera, riuscirà a tornare al Maffei di Verona per ragioni
di servizio, istituto in cui verrà finalmente nominato nel ’98.
Nel novembre del 1899, l’anno del matrimonio, pur essendo titolare a Verona, verrà
assegnato, ancora per ragioni di servizio, al liceo di Treviso, mèta agognata e da anni
inseguita37 . Tenterà anche la strada del prestigioso Tasso di Roma (si classificò
ottavo al concorso), ideale viatico per l’università, alla quale Serena ovviamente
puntava; ottenne solo il palliativo, per meriti indubbi, della libera docenza nel 1906 a
Padova che tenne sino al 1913 e nello stesso anno divenne Ordinario nei Licei.
Nel frattempo accumulava cariche accademiche. Fin dal ’96 ottenne il diploma di
socio dell’Accademia Peloritana di Messina38. Nel 1907 divenne membro
dell’Accademia degli Agiati di Rovereto, con la quale stabilì una proficua e continua
34 BCMb, Fondo Serena, Attestati e curriculum. Le notizie inerenti i passaggi di cattedra sono ricavate
da tale materiale.
35 Serena riceverà sempre molte lettere da Verona, segno di un passaggio fertile e, per certi versi,
iniziatico (cfr. Corrispondenza privata e Fondo Serena)
36 Le difficoltà di quegli anni emergono, come vedremo, nelle lettere a Marchesan (Pesce, Carteggio
cit., p.186 e 191).
37 Il contatto con i colleghi trevigiani era infatti continuo. Ad esempio, il 3 novembre 1897
(Corrispondenza privata), Talamini lo informa del prevedibile trasferimento di un collega siciliano.
38 BCMb, Fondo Serena, Corrispondenza, 2 gennaio 1896; l’amico Gioacchino Chinigò gli invia il
diploma di socio accademico.
 © Lucio De Bortoli - Appunti su Serena
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collaborazione scientifica39; sempre nel 1907 venne accolto nell’Accademia
Scientifica di Padova.40 Qualche anno più tardi, nel 1910, diventava socio della
Deputazione Veneta di Storia Patria e “attivo collaboratore”41 di Archivio. Nel 1912
venne nominato Provveditore agli Studi di Belluno42 e membro del Consiglio
Scolastico Provinciale43. Nel 1914, anno funestato dalla morte del fratello Ludovico,
a soli tre anni di distanza da quella dell’altro fratello Giuseppe, vittima di un incidente
stradale44, ottenne il Provveditorato di Treviso, in coincidenza temporale con l’entrata
nell’Istituto Veneto per la quale ricevette le entusiastiche congratulazioni di Oreste
Battistella.45. La volontà di lasciare Belluno è quasi quotidianamente documentata
dalla corrispondenza che intreccia con Vito Colamarino ed altri soggetti titolari di
funzioni ministeriali e in grado di informarlo in tempi brevi sulle occasioni di
39 Cfr. Corrispondenza privata, anni diversi. Serena inviava ogni sua pubblicazione all’Accademia.
40 BCMb, Fondo Serena, Attestati.
41 Lizier, Augusto Serena cit., p.7. La collaborazione con la Deputazione cominciò in modo per la
verità difficile, a causa di complicazioni editoriali. La vicenda, che si riferisce alla ponderosa La
cultura Umanistica a Treviso, venne poi risolta dall’intervento degli amici Biadego e Segarizzi, ma il
volume verrà presentato solo nel 1912 (cfr. per questo Corrispondenza privata, anni 1910-11, a partire
dall’ottobre 1910, passim.)
42 Il Gazzettino, 5 luglio 1912.
43 Corrispondenza privata, 11 febbraio, foglio di nomina.
44 Corrispondenza privata, luglio e agosto 1914, condoglianze di diversi, tra cui quella commovente di
Marchesan (29 luglio). Il fratello Giuseppe era invece stato investito da alcuni ciclisti ed era morto per
complicazioni; cfr. Il Giornale di Treviso, 14 novembre 1911; in Corrispondenza privata, 1914, mese
di novembre, numerosi biglietti di condoglianze (onorevoli Bertolini e Ellero, direttori di giornali,
amici e autorità montebellunesi, il sindaco Patrese e la giunta, et cet, cfr. La Provincia di Treviso e Il
Giornale di Treviso per la cronaca dei funerali del giorno 16.). Particolare significativo: in una lettera
del giorno 19, Giuseppe Faccin, il principale investitore del fratello, chiede perdono e sostiene che se
avesse considerata la caduta “così fatale” sarebbe di certo ritornato sui suoi passi a prestare soccorso.
45 Corrispondenza privata, 1914, 18 luglio: “Treviso, dopo la morte di Antonio Caccianiga, non aveva,
se mal non ricordo, alcun suo rappresentante presso il Reale Istituto...”. Battistella fu in continuo e
serrato contatto con Serena, che considerava un maestro (cfr. Corrispondenza privata, annate diverse).
Inoltre, il giovane nervesano fu uno dei suoi più fertili informatori e collaboratori, spesso incaricato di
controllare l’autenticità di alcuni fonti e della trascrizione documentaria dei lavori del maestro; e, non
di rado, il controllo si spingeva sino alla segnalazione di sviste e imperfezioni. Su Oreste Battistella
(1883-1944), docente di storia dell’arte al liceo Canova e cultore di storia trevigiana, si veda il breve
 © Lucio De Bortoli - Appunti su Serena
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spostamento.46 A Belluno, Serena si trovò, peraltro, a lavorare in condizioni
estramamente difficili, completamente senza personale. Un provveditore a tutto
campo, quindi, dall’apertura della posta del mattino, alla spedizione di quella della
sera.47 Le condizioni che poi trovò al Provveditorato di Treviso sino al 1923, quando
rifiutò un provveditorato regionale in seguito alla soppressione di quelli provinciali,
non furono del resto molto diverse. Si legga l’elogio della stampa in occasione
dell’abbandono dell’ufficio; il cronista nel riepilogare l’improbo lavoro svolto in
assenza pressoché totale di personale (segretario, ragioniere, ispettori), ricorda la
viscerale allergia dello scrittore per le lamentele: “lo Stato mi paga perché gli dia
tutto quanto me stesso”48 . Come vedremo, in una risposta del genere c’è l’uomo,
tutto intero.
Se ne andrà dunque dal provveditorato e tornerà al Canova da preside. Lì rimarrà sino
al 1935, quando verrà collocato a riposo.49
Nonostante il decennio trascorso nei licei della nazione, Serena non perse mai contatti
con il suo mondo culturale e con Montebelluna, nella quale tornava sempre e non
appena gli era possibile. Si noti come il significato di tali ritorni trovi forma in due
tipi di omaggio: quello erudito della saggistica e quello, nient’affatto secondario,
profilo in BINOTTO R., Personaggi illustri della Marca Trevigiana, Fondazione Cassamarca, 1996,
pp. 44-45.
46 Corrispondenza privata, 1913-14, lettere diverse. Per il trasferimento a Treviso si mobilita anche
Pietro Bertolini, sollecitato dalla madre Sofia alla quale Serena si era rivolto: l’interesse di Bertolini
non produsse risultati (lettera del 4 febbraio 1913). Di grande interesse le lettere del collega Grilli,
articolatissime, zeppe di fatti e cadenzate in temi (colleghi e scuola, politica, cultura), lettere che
testimoniano della necessità di stare al centro dei fatti, sia pur da lontano (cfr., ad esempio, la lettera
del 19 febbraio 1913)
47 Corrispondenza privata, anno 1913, diversi. Le risposte e le lettere di amici fanno spesso accenno a
questi problemi.
48 in Camicia nera, 21 giugno 1923.
49 BCMb, Fondo Serena, attestati e curriculum.
 © Lucio De Bortoli - Appunti su Serena
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della rappresentazione lirica in dialetto degli affetti.50 E’ comunque indubbio che gli
anni dal ’93 al ’98, quando ritorna a Verona per poi stabilirsi a Treviso, furono
dedicati prevalentemente alla produzione in versi e all’attività didattica. Disagio,
solitudine e distanza se accompagnarono, con ogni probabilità, la maturazione
dell’uomo, contribuirono anche a spegnerne in buona parte i furori e le leali
intempestività giovanili. Ci soccorrono, anche in questo caso, le lettere spedite a
Marchesan, nelle quali affiorano, anche tra i passi più combattivi, malinconie e
malesseri, frustrazioni e fatalismi:
“Lavoro da mattina a sera come un cane; non ho nessuno svago, nessun divertimento; non ho vizi, non
ho rimorsi, non ho niente..” (Tivoli, 12.2.1894);
“Di me che dirti? Qui sto come peggio non potrei: è detto tutto. Oh, chi mi libera da questa greppia!”
(Lucera, 27.11.1896).51
Allorché si sistemerà definitivamente a Treviso, Serena riallaccerà i rapporti interrotti
e si tufferà per sempre nella ricerca e nei suoi studi eruditi. Studi appartati, beninteso,
poiché, almeno nei toni e nei fatti concreti non si può, onestamente, sostenere una
piena e interessata integrazione da parte sua nell’ambiente culturale trevigiano.52 E’
anzi piuttosto verosimile -conoscendo il temperamento del Serena in quel giro d’anniipotizzare
la sua scarsa adattabilità a un clima, quello trevigiano, fatto di
accomodamenti e di circoli chiusi53 , una realtà certamente rituale e poco disposta ai
50 Valga per questo l’esempio più noto e qui riprodotto, vale a dire il breve ciclo di sonetti Co torno a
casa, apparso in Cl, a. XLVIII (1907), n.2 e poi in Fra l’Amore e la Morte. Cantilene, 1a ediz. 1908.
51 Vedi alla n° 36.
52 Varanini, Augusto Serena cit., relazione.
53 Sull’egemonia di Bailo, di cui si diceva in apertura, si veda, a titolo di esempio, la testimonianza di
Emilio Ventura, a indiretta conferma -vista la complicità che emerge dal testo- della posizione di
Serena: “Alla Comunale di Treviso il disordine, che vi impera, e il Bailo, che sembra là a posta, per far
desistere gli studiosi da qualsiasi ricerca, m’hanno impedito di vedere manoscritti del Sartorio [...]
m’occorerebbe sapere dove mettere le mani in quel caos di libri e di carte della nostra Comunale. Ogni
volta che mi è capitato di farvi qualche breve ricerca, mi son venuti i brividi dalla febbre”
(Corrispondenza privata, anno 1907, 8 settembre). Come poi si vedrà, Serena cercò di intervenire, ma
Bailo non volle accettare nessun aiuto. Su Emilio Ventura (1866-1926), collaboratore di Coltura e
 © Lucio De Bortoli - Appunti su Serena
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toni franchi, diretti: ora come allora, un milieu provinciale non privo di eleganza ma
retorico.
Nel 1899 assunse carattere stabile la collaborazione con il periodico Coltura e Lavoro
che, di lì a poco, diventerà una sorta di personale organo di diffusione culturale. Una
vicenda, quella di Coltura e Lavoro, che era cominciata molti anni prima, quando
Don Quirino Turazza fondava, nel 1860, un periodico per assicurare un introito sicuro
al collegio da lui fondato per la raccolta e l’istruzione dei bambini abbondanati.54
Quando arrivò Serena, il giornale, passato attraverso numerose trasformazioni e
cambi di testata, aveva da poco cambiato indirizzo editoriale imboccando
decisamente la strada della storia locale, specie allorché Tito Garzoni55 ne era
diventato redattore responsabile. Nel 1906 Serena rilevò il Garzoni e accentuò
l’impostazione storico-culturale del giornale. A partire dal 1909, 1910, la sua
presenza divenne straripante e lo costrinse all’uso di numerosi pseudonimi per non
inflazionare con il suo cognome le pagine del giornale.56 Ma gli anni prebellici
saranno anche quelli più difficili di Coltura e Lavoro. Le traversie e le difficoltà del
periodico, scarsamente diffuso e sempre più povero di abbonati, affiorano
insistentemente nella corrispondenza dello scrittore, probabilmente poco consapevole
della gravità della situazione.57 Serena era, in realtà, ignaro della situazione
Lavoro, poeta e saggista, si veda il ritratto di Tito GARZONI, Un poeta trevigiano scomparso, in
Illustrazione della Marca Trevigiana, I, n.3, 1926.
54 Cfr. VANZETTO L.-BRUNETTA E., Storia di Treviso, Padova 1988, pp.50-51. Sul periodico si
veda invece l’esauriente quadro fornito da S. ROSSETTO, Per la storia del giornalismo. Treviso dal
XVII secolo all’Unità, Milano 1996, pp. 137-161.
55 Su Tito Garzoni (1853-1929), il popolare segretario comunale, straordinaria figura umana e
appassionato cultore di memorie, si veda A. LAZZARI, Ricordando Tito Garzoni, in L’Avvenire
d’Italia, 21 febbraio 1931. Si noti, a latere, che il cattolico Attilio Lazzari non sopportava Serena e le
sue posizioni “ghibelline” (Corrispondenza privata, 1912, 21 gennaio).
56 Alcuni esempi: Ariele, Euganeo Straus, Ernesto Guausa, Ausano Gesture, Assuero Guante, Austro
Esangue.
57 Corrispondenza privata, anno 1913, 23 luglio. Monsignor Ferreton, della direzione, scrive al gerente
responsabile e quasi unico compilatore del giornale: “so quanto ha fatto e farebbe pur di raggiungere
 © Lucio De Bortoli - Appunti su Serena
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amministrativa. I suoi rapporti con la proprietà passavano attraverso la mediazione
del tipografo tuttofare Arturo Sanson, del quale si conservano numerosissime missive
concernenti gli aspetti tecnici e compositivi del giornale.58 Era questa, del resto, la
situazione ideale per Serena: essere il solo responsabile di ciò che veniva stampato;
evitare cioè quanto gli era accaduto nel 1899, allorché il buon Tito Garzoni gli chiese
di modificare e di attenuare i toni anticlericali di una recensione. Serena, in
quell’occasione, si arrabbiò moltissimo e decise di rompere la collaborazione.59 Sarà
Marchesan a convincere l’amico a desistere dai suoi propositi, poiché non era il caso
di scomodare la “censura ecclesiastica”, bensì il buon senso; e concludeva
rimproverandolo, manzonianamente, che “al mondo, non è sempre bene prender le
cose di fronte, caro mio, perché tante volte si resta sfrontati”.60
Ben più grave sarò lo scontro del 1905 con Coletti. Serena, accusato dal giovane di
irregolarità e di scavalcare lo stesso Garzoni, minacciò di lasciare il giornale che era
già, di fatto, nelle sue mani. Di fronte alla cortesia e alla benevolenza di Garzoni
accettò tuttavia di rientrare, ma impose patti chiari: una direzione precisa,
responsabile e unica, il rispetto di alcuni principi (“ortodossia letteraria e morale del
periodico, per la grammatica italiana -quella vecchia- e per la buona creanza”),
valutazione da parte del redattore-direttore dei testi dei “nuovi” collaboratori.61
Garzoni accettò il diktat e consegnò, di fatto, la “cura” del giornale al “caro
uno sviluppo maggiore di quello che oggi abbia il periodico...che con tanto affetto dirige. E’ logico
che m’abbia frainteso, perché ella pensa e vede col criterio artistico e intellettuale, io con quello
commerciale.” Il giornale diventerà bimestrale nel ’16 e chiuderà, improvvisamente, nel 1917
(Rossetto, Per la storia cit., pp. 160-61).
58 Corrispondenza privata, annate diverse a partire dal 1907.
59 Pesce, Carteggio cit. La lettera di Serena è del 3 ottobre, p. 196.
60 Ibidem, 4 ottobre, risposta del Marchesan, p. 197.
61 Ibidem, lettera di Serena, fine dicembre 1905, pp. 201-202.
 © Lucio De Bortoli - Appunti su Serena
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professore”.62 Fu allora che Coltura e Lavoro cominciò a identificarsi con il
“professore”. Altre crisi si avranno nel 190963 e, come già ricordato, nel 1913, ma
saranno per l’appunto crisi legate alla cattiva salute economica del giornale. Coltura e
Lavoro non aveva più abbonati e si ostinò a parlare di Letteratura anche con la guerra
entrata dalla porta. Morì esangue, ma ora rappresenta, più di ogni altro testata, uno
strumento di conoscenza decisivo per chiunque voglia capire le espressioni culturali
della trevigianità.
In Coltura e Lavoro Serena, oltre a curare con puntualità rubriche di asterischi critici
e rassegne bibliografiche, propose un notevole numero di studi e di interventi
eterogenei. Spesso tali pezzi venivano in seguito stampati in volume e in fascicoli
dalla tipografia del Turazza. Ciò potrebbe far pensare a un rapporto esclusivo, e in
parte fu così. Ma lo scrittore non pubblicò solo per i tipi dell’istituto. Un rapido
spoglio della bibliografia fornisce interessanti risultati:
Turazza - 32 titoli dal 1898 al 1929
Coltura e Lavoro - 40 titoli dal 1898 al 1917 (si avverte che gran parte di questi
confluiscono nei primi e che nel conteggio non si è tenuto conto delle rubriche, delle
liriche sparse e dei brevi testi d’occasione o di varia umanità)
Istituto Veneto - 32 titoli dal 1919 al 1947
Longo-Zoppelli - 13 titoli dal 1925 al 1938
Annichini (Verona) - 7 titoli
Albrighi e Segati (Milano) - 6 titoli
Editrice Trevigiana - 6 titoli
Pulini (Montebelluna) - 5 titoli
Archivio Veneto - 5 titoli
Accademia Agiati - 5 titoli
62 Il rapporto Serena-Garzoni è uno dei momenti più intensi della storia del periodico. Sono
innumerevoli, a scadenza settimanale, le cartoline, i bigliettini e le lettere che il buon Tito spediva al
“caro professore”. L’estrema cortesia, la deferenza e l’umiltà di Garzoni sono un riconoscimento della
levatura del destinatario e un esempio, allo stesso tempo, irrimediabilmente perduto di civiltà delle
buone maniere.
63 Corrispondenza privata, anno 1909, date diverse
 © Lucio De Bortoli - Appunti su Serena
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Carestiato e Sanson - 5 titoli
Longo - 4 titoli
Zoppelli - 4 titoli
Assieme agli editori-tipografi in elenco, vanno poi ricordate le pubblicazioni con
Fava e Garignano di Bo
logna, Ferrari e Pellegrini di Parma, Le Monnier di Firenze, Olschki di Milano, Lapi
di Città di Castello, altre tipografie di Feltre, Vigevano, Cividale, Venezia, Firenze,
Roma (Forzani, tipografi del Senato) e i locali Vianello, Buffetti, Patronato,
Tipografia della Marca.
Come si può notare un quadro editoriale piuttosto ampio e che dimostra contatti,
notorietà, respiro, almeno sul piano della circolazione dei testi, sovraregionale, una
portata culturale del resto confermata dalla rete di corrispondenti e di ammiratori
estesa su scala regionale e in parte persino nazionale.64
Serena, scrittore versatile e curioso, scrisse molto e spesso in modo anche
frammentario, privilegiando il respiro costo, la miniatura da cesellare. Anche quando
raccolse in volume i suoi saggi e le sue poesie, l’intenzione fu solo miscellanea.65 La
sua unica, autentica monografia, per mole e per ambizione, fu il volume La coltura
umanistica a Treviso nel secolo decimo quinto, pubblicato a cura della Regia
Deputazione di Storia Patria nel 1912. Opera ancora preziosa, 66 rivelò, sin dal suo
64 Corrispondenza privata, passim. Serena riceveva lettere e bigliettini da una quantità oggettivamente
altissima di persone. In buona parte di tratta di congratulazioni e di testi encomiastici riguardanti
l’opera in versi. Ma non mancano le valutazioni sull’opera di ricerca e in genere sull’esponenzialità
pubblica dell’autore. Ciò che invece colpisce e in qualche misura stupisce è la notorietà del poeta e
dello studioso Augusto Serena, notorietà molto più elevata di quanto ora non sia. Il dato suggerisce
quindi cautela nei giudizi e la necessità, per la ricerca attuale, di essere rigorosa.
65 Cfr., per esempio, Pagine Letterarie, Roma 1900; Appunti Letterari, Roma 1903; Varietà Letterarie,
Milano 1911; per la poesia almeno, Poesie, Roma 1901; Poesie di Augusto Serena, Città di Castello,
1912 e le dialettali Cantilene, 1a ediz., Treviso 1908
66 M. PASTORE STOCCHI, La cultura umanistica, in Storia di Treviso, III, L’età moderna, a cura di
E. Brunetta, Venezia 1993, p.139.
 © Lucio De Bortoli - Appunti su Serena
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apparire, alcune ineluttabili disomogeneità riscattate comunque dall’importante
documentazione archivistica rinvenuta sull’argomento.67 Nell’impresa, durata anni,
Serena si avvalse di informatori e di ricercatori d’archivio. Le informazioni e le
segnalazione giungevano da Onigo, Pederobba (Don Bruno Fraccaro), da Roma
(Nico Schileo e Don Francesco Zanotto), da Padova e Nervesa (Oreste Battistella), da
Fonte (Don Mander), dal segretario comunale di Montebelluna e appassionato
archivista Girolamo Baratto e, naturalmente, dal principe dei “roditori d’archivio”
della Treviso tra Otto e Novecento, cioè il notaio Gustavo Bampo.68 Figura appartata
e discreta, Gustavo Bampo, conservatore dell’Archivio Notarile e autore di uno
spoglio gigantesco degli atti dei notai della città e del territorio, tuttora miniera
inesauribile di indicazioni, era in rapporto con Serena. Rapporto altalenante negli
umori, cordiale e risentito, specie allorché Serena pubblicava documentazione che
Bampo gli aveva fornito omettendone il contributo. Bampo, quando uscì la Cultura
umanistica, si risentì moltissimo e accusò l’amico studioso di ingratitudine.69 Serena,
in effetti, cercò di rimediare quanto era ormai troppo tardi. L’amichevole
consuetudine collaborativa poi riprese apparentemente senza rancore,70 ma, nel
frangente raccontato, la negligenza o la precisa volontà di attribuirsi i meriti
67 Cfr. R. RENIER, (recensione), in Giornale Storico della Letteratura Italiana, a.XXX (1912), vol.
LX, pp.223-225: “Sebbene il Serena abbia fatto molti e lodevoli sforzi per dare certa organicità al suo
volume, esso riuscì, per necessità di cose, alquanto frammentario e sconnesso. Tutti, peraltro, dovranno
apprezzare l’onesta e intelligente opera di ricerca ch’esso rappresenta”.
68 Le segnalazioni e i nomi dei corrispondenti in Corrispondenza privata, anni 1908,1909,1910,1911. I
bigliettini con le segnalazioni di Bampo non sono, per la verità, numerosi. Su Gustavo Bampo (1849-
1927), i cui spogli sono conservati in Biblioteca Comunale di Treviso e, in copia, presso l’Archivio di
Stato, si veda la voce in Binotto, Personaggi cit., p.35 con relativa bibliografia.
69 La vicenda è stata recentemente ricostruita da E. LIPPI, Augusto Serena studioso dell’Umanesimo
trevigiano, in Augusto Serena cit. (convegno), relazione.
70 Nel marzo del ’13, ad esempio, Bampo comunica di non aver trovato nulla su Bartolomeo
Zampolina e gli assicura che la chiesa di S.M. del Gesù venne costruita tra il 1520 e il 1540, mentre
l’antica chiesa, ubicata fuori città, aveva subito ingenti danni ai monumenti sepolcrali dalle truppe
imperiali nel 1511 (Corrispondenza privata, 1913, 13 marzo)
 © Lucio De Bortoli - Appunti su Serena
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dell’altro, non è stata una pagina onorevole per Serena, di fronte alla quale non vale
(ed egli mai lo fece) invocare la giustificazione che l’opera avrebbe dovuto aprirgli,
finalmente, le porte dell’università; aspirazione che poi peraltro abbandonò per
ripiegare sul provveditorato.
La vicenda si svolse comunque sullo sfondo di un momento assai difficile e intenso,
sia sul piano pubblico che personale. Poco prima lo studioso era stato eletto
consigliere comunale nella lista progressista del Blocco Popolare guidata da Patrese e
aveva accettato l’assessorato alla cultura.71 Nella seduta del 20 marzo 1911, il nuovo
assessore sostenne l’opportunità di applicare immediatamente i decreti legge Credaro
che riformavano l’insegnamento e trasferivano allo Stato il settore dell’istruzione
primaria liberando i comuni dall’obbligo dell’insegnamento religioso.72 La proposta
della giunta scatenò il finimondo negli ambienti cattolici e la durissima risposta agli
attacchi da parte dei socialisti in seno alla maggioranza.73 Attaccato con sottile
perfidia da Vita del Popolo per la sua innaturale contiguità coi socialisti, pressato dai
suoi impegni editoriali, martoriato da malesseri piuttosto seri sul piano fisico e
nervoso74, turbato dalle molte implicazioni che tutta l’incresciosa vicenda sollevava
sul piano morale e politico, Serena diede le dimissioni da assessore (prima o dopo gli
attacchi della diocesi poco conta) e partecipò sempre più raramente alle riunioni del
consiglio comunale, limitandosi a curare alcune questioni culturali.75 E’ il caso della
71 Cfr. Vanzetto-Brunetta, Storia di Treviso cit. , pp. 94-102.
72 Ministero della Pubblica Istruzione, L’istruzione primaria e popolare in Italia con speciale
riferimento all’anno scolastico 1907-1908, Relazione presentata a S.E. il Ministro dal direttore
generale per l’istruzione primaria e popolare dott. Camillo Corradini, vol. I, Roma 1910.
73 I fatti sono stati ricostruiti da B. BUOSI, Notizie su Augusto Serena e la politica, in Augusto Serena
cit., (convegno), relazione.
74 Corrispondenza privata, anni 1910, 1911, 1913, date diverse; numerose ricette e prescrizioni di un
medico di Padova per la cura della condizione nervosa, dell’insonnia, dell’inappetenza e della gastrite.
75 “Se volessi con voi sofisticare, /direi, che il mio dover sempre fec’io: / il dover della sedia
consigliare / è dover della sedia, e non è mio”. Serena era spesso assente e così rispose, sino a che si
dimetterà anche da consigliere nel 1913 (La Provincia di Treviso, 29 luglio).
 © Lucio De Bortoli - Appunti su Serena
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questione Bailo. Nonostante, come abbiamo già visto, i rapporti con l’intellettualità
trevigiana non fossero idilliaci, Serena si prodigò per venire incontro alle esigenze di
Bailo che, da anni, conduceva da solo (anche in senso economico) la battaglia per
l’istituzione e il mantenimento di museo e biblioteca. Ne ricevette in cambio una
sorta di consiglio, anche questo, come quello del Marchesan, ennesimo indizio di
trevigianità76.
In ogni modo, l’avventura politica di Serena si concluse nel giro di tre mesi e rimase
sostanzialmente l’unica, se si eccettua la trascurabile, evanescente e totalmente priva
di sviluppi, partecipazione alla cosiddetta Alleanza Liberaldemocratica del 192077.
Serena, come abbiamo visto, non amava la politica intesa come gestione e
amministrazione e nemmeno come supporto ideologico alla propria attività di ricerca.
Ma se l’attività propriamente politica fu solo una parentesi, non così si può dire per le
caric7he istituzionali. Negli anni prebellici fu, assieme a Bailo, Ispettore onorario dei
Monumenti di Treviso, membro della Commissione Provinciale per la conservazione
dei monumenti nonché, come detto, membro del Consiglio Scolastico Provinciale. 78
Da Provveditore agli Studi fu invece investito nel 1913 da un’altra violentissima
campagna di stampa dei clericali, che lo iscrissero, “naturalmente” e in modo del tutto
76 “La ringrazio dell’interesse che prende alle cose che tanto m’interessano; La prego di non
comprometterle col troppo zelo; tante volte colla pazienza e colla persuasione si ottiene di più che col
voler forzare la situazione; tutto quello che io ho sempre ottenuto, l’ho ottenuto così...”
Corrispondenza privata, 1912, marzo.
77 Cfr. Vanzetto-Brunetta, Storia di Treviso cit., p.99. All’esperienza partecipò buona parte della
maggioranza progressista di dieci anni prima; e alcuni di essi fiancheggiarono e si fecero assorbire dal
fascismo (Coletti).
78 BCMb, Fondo Serena, Attestati e Curricula. In Corrispondenza privata, 1912, 14 aprile, Bailo scrive
della fresca nomina che entrambi hanno ricevuto. Nella lunghissima lettera si sofferma, in dettaglio,
sul suo operato a proposito del museo e delle sue più recenti acquisizioni, tra cui le colonne e i capitelli
di palazzo Bressa rinvenuti a Biadene, “sfuggiti a tutti”. Si tratta di un documento molto ricco di
notizie e che segna l’inizio di una consuetudine fatta di scambi e di pareri che, per quanto si è potuto
intuire, avvicinò molto i due studiosi. E, del resto, si vedano, in occasione della morte dell’abate, i
profili che Serena scrisse su Il Gazzettino del 30 ottobre ’32 e, soprattutto, Il Prof. Luigi Bailo, in
Annuario del Regio Liceo Ginnasio A. Canova, 1932-33.
 © Lucio De Bortoli - Appunti su Serena
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arbitrario, alla massoneria. Nella vicenda -motivo non ultimo dell’aggravamento
dell’insonnia- le lettere di apprezzamento, come quella del direttore didattico di
Treviso Andreazza (“Ella che in momenti difficili come i presenti, esercita il suo
Ufficio con profondo sentimento di equità e giustizia dando quotidiane prove di
fermo e alto ingegno, non risparmiato in questa deplorevole campagna del partito
clericale..”), si alternavano alle minacce o alle lettere, francamente subdole, come
quella di Don Luigi Saretta:79
“...nel caso specifico della pubblicazione del suo nome nelle ‘rivelazioni massoniche’, avrei potuto
valermi di una dichiarazione ch’ella mi ha scritto sulla fine del 1910, e impedire la pubblicazione.
Non l’ho fatto perché ciascuno deve rispondere delle proprie opinioni, e perché in questi tre anni è
corsa molta acqua sotto il ponte del Sile. Che direbbe lei di un assessore alla pubblica istruzione che
abolisse l’istruzione religiosa? Che direbbe di uno scrittore, di un poeta che non lasciasse sfuggire
occazione per lanciare frecciate sulle istituzioni e sugli uomini di chiesa? Che direbbe di un
provveditore, che, sulla applicazione della legge, trovasse o provocasse tutti gli ostacoli contro le
libertà più sacre? Anche se nella sua vita privata fosse il tipo di cittadino e del cristiano perfetto, non
potrebbe sottrarsi a un giudizio severo della pubblica opinione”.
Dunque, traducendo il pensiero di Don Saretta: Serena non era massone, Saretta lo
sapeva, ma non fece nulla per impedire la diffamazione perché il bersaglio era
comunque colpevole. Erano anni difficili, sino al punto da sacrificare la verità
sull’altare della fede e dell’ideologia.80 C’è da aggiungere, comunque, che, in questi
casi, lo scrittore ribatteva colpo su colpo. Il mese seguente viene fatto oggetto di un
altro, durissimo, attacco. Serena aveva appena pubblicato un epigramma su Coltura e
Lavoro 81 col quale intendeva colpire la linea clericalmoderata del nuovo direttore
79 Don Saretta (1885-1964), montebellunese, all’epoca direttore di Vita del Popolo (dal 1908 al 1915),
scriveva peraltro spesso a Serena, elogiandolo per i suoi lavori sulla chiesa prepositurale e fornendogli
notizie di storia ecclesiastica (Corrispondenza privata, 1912, 25 marzo; la lettera riportata è invece del
19 giugno 1913); Serena aveva inoltre contribuito all’uscita di un numero unico che Saretta aveva
voluto per la costruzione del Duomo nuovo (Montebelluna 1908 -XXV marzo 1909).
80 Don Saretta proseguiva imperterrito, forse inconsapevole della gravità di ciò che diceva: “Lei mi
chiede il nome di colui che ha creduto di scrivere il suo fra i massoni di Treviso. Potrei dirglielo, anche
sebbene il mio segreto non debba confondersi col segreto massonico.”
81 l’epigramma intitolato Brigantaggio era in effetti costruito per colpire: Un ateo sanfedista, nato
tardi / con la vocazion al brigantaggio / girò di qua, girò di là gli sguardi / per veder dove fosse il suo
 © Lucio De Bortoli - Appunti su Serena
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della Gazzetta Trevisana. La risposta della Provincia di Padova, il cui direttore era lo
stesso del foglio trevigiano, non si fece attendere e Serena, tra le altre contumulie, si
beccò del “vate incognito”.
L’insieme di questi fatti consente una breve riflessione sull’intellettuale. E’ stato
osservato, in più occasioni, che Serena fu uomo del mondo liberale e come tale aderì
con assoluta convinzione alle idealità nazionali; un uomo che fu travolto, come molti
della sua generazione, dalla barbarie palingenetica della guerra, dai radicalismi del
dopoguerra e che visse l’avvento del fascismo nell’indifferenza. E’ stato anche
sostenuto come tutti questi traumi epocali (1915,1922,1925,1941) gli siano passati
sulla testa senza effetti,82 o comunque, diciamo meglio, confinati negli umori poetici:
umori che, per la verità, non appaiono sempre segnati dall’indifferenza come
dimostrano questi due sonetti:83
LE NOTIZIE DE LA GUERA MA, COSSA CH’E’ NE L’ARIA...
Vado solo, lezendo, par ‘na strada Tornando a casa, go trovà stasera
dove gh’è pochi siori da incontrar; i putèi che i parea fora de lori.
ma, intanto che ‘l Corrier me tien a bada, Le picole portava ‘na bandiera
me sento, drio le spale, pedinar cantando “Tre colori! Tre colori!”
Chi sia? No so. Me vien da dar ‘na ociada, Ma ‘l più grando, co un’altra zala e nera
cussì, per voltar carta e riposar; l’urlava “Morte! Abasso!”: insoma, orori.
e vedo ‘na veceta imbarazada E, sbregada e pestada che la gera,
che non sa se fermarse o seguitar. L’intonava “Va fuori!...; e tuti, “Fuori!”
“Volèu calcossa, cara?” Ela, la tase Mi go fato la parte del Governo;
un fià confusa; e po’, la me domanda gh’ò dito, che ò capìo; che, intanto, i tasa;
vantaggio; / si truccò di cultura e di riguardi, / s’armò di sorrisetti e di coraggio, / si tatuò di Cristi la
cotenna; / e si fece brigante della penna. In Cl, LIV (1913), n.6. Il giornalista in questione era molto
probabilmente Francesco Sandoni, direttore fresco di nomina (21 aprile). Sulla breve vita della
Gazzetta Trevisana si veda Rossetto, Per la storia del giornalismo cit., p.198.
82 L. URETTINI, Augusto Serena poeta, in Augusto Serena cit. (convegno), relazione..
83 Fra l’Amore e la Morte. Cantilene, 3a ediz., Treviso 1914.
 © Lucio De Bortoli - Appunti su Serena
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“Cossa dìxelo, sior, che i faza pase?” e che i rispeta l’ordine paterno
“Si, presto, e ben!” “Oh, sior, Dio l’acompagne! Ma cossa ch’è ne l’aria, che sti fioi
No ‘l me pol dar consolazion pì granda!” alti ‘na spana, e sequestradi in casa,
Le mame a mondo xe tute compagne. i ga l’odio e l’amor dei nostri eroi?
Ma, al di là e al di fuori dell’intensità di certi angoli, è in ogni caso indubbio che la
produzione ufficiale e “letteraria” dello scrittore non subì rotture e lacerazione.
Serena continuò a occuparsi delle opere del suo amatissimo Tullo Massarani84, di
scrittori e eruditi, di poligrafi e bibliotecari settecenteschi, di sacerdoti e prelati
ottocenteschi, di frati e eretici, di storia minima, di Paravia, Zendrini, Betteloni,
Dall’Ongaro e Fogazzaro, di Dante, Petrarca, Prati, Parini e Carducci, di poeti e
poetesse sepolti dalla storia, delle sue molte poesie e delle loro numerose edizioni85,
scrisse decine di epigrafi e di commemorazioni, decine di testi d’occasione sulle più
svariate circostanze (nozze, inaugurazioni, festeggiamenti, onorificenze), redasse
pronesteghi, celebrò le origini della propria famiglia e alcuni suoi protagonisti, dedicò
pagine toccanti ai suoi tipografi, ai suoi amici e ai suoi maestri, scrisse persino sugli
ulivi e dell’innesto-vaccino. Eppure, nonostante tanta prolificità, è molto difficile
ritrovare nei suoi testi lo spirito dei tempi. Serena, in realtà, non sembra sentire, nei
toni e nelle forme, il suo presente e nei suoi scritti gli eventi fortissimi del suo tempo
84 A Tullo Massarani, Serena dedicò numerosi interventi e curò l’edizione critica delle sue opere.
L’interesse per la figura è precoce (Epistole, 1897) e prosegue con In Val di Lambro, in Cl, XXXIX
(1898), n.10 (sonetti a Massarani); Tullo Massarani. Nota bibliografica, Treviso 1908; Della vita e
delle opere di Tullo Massarani (Proemio e note bibliografiche), estratti dall’edizione postuma delle
opere, Firenze 1906; I saggi poetici di Tullo Massarani (Introduzione all’edizione postuma delle
opere), Roma 1907; Attorno alla Esmea di Tullo Massarani, Roma 1908; Massarani Tullo. Una nobile
vita. Carteggio inedito, Firenze 1909; Tullo Massarani traduttore, Firenze 1910; La cronaca di
un’opera di Tullo Massarani, in Cl, LII (1911), n.8.
85 Su Serena poeta cfr.; G. CHECCHIA, Poeti, prosatori e filosofi nel secolo che muore, Caserta
1900; L. COLETTI, Ancora una parola su Augusto Serena poeta, Treviso 1903; P.A. MICHIELI,
Augusto Serena (poeta), Cherasco, 1904 (poi Treviso 1924) G. BRAGNOLIGO, Appunti per la storia
della cultura in Italia, Napoli 1926.
 © Lucio De Bortoli - Appunti su Serena
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non lasciarono tracce; in questo egli fu anni luce lontano da ciò che pensiamo debba
essere o fare un intellettuale. Ma affidarsi a tale lettura per formulare giudizi è molto
probabilmente un errore di metodo. Un errore che si nutre di diverse componenti. La
prima è la tradizionale visione a cose fatte, quella che assegna tratti e funzioni
maturati altrove; la seconda trascura invece quello che è stato definito l’evento di
lunga durata che segna la vita e la coscienza e che per Serena fu la crescita e lo
sviluppo del sentimento nazionale e dello stato liberale, allo stesso modo per cui le
classi del 96-98 considerarono sempre la prima come la “guerra” per antonomasia; la
terza componente, infine, è la grossolana tendenza a far coincidere l’attività culturale
e di ricerca con la partecipazione socio-politica; grossolana perché frutto di letture
“manualistiche” e di schematismi ideologici (la funzione degli intellettuali) e di
scarsa attenzione: quanti sono, in relazione a un’ipoteca statistica, tra gli uomini di
sapere e di ricerca del passato e del presente, quelli che sono usciti dai propri ambiti e
hanno assunto pubbliche posizioni? Che senso ha leggere le esistenze rispetto a un
modello che si considera, magari a ragione, esemplare?
Nonostante ne abbia attraversato una buona parte, Serena non visse nel cosiddetto
secolo breve (1918-1989); egli fu per intero un uomo dell’Ottocento, formato e
maturato all’ombra e al sole dei valori di un mondo in cui ciascuno stava al proprio
posto e cercava di fare al meglio ciò che gli era stato affidato; fu un uomo
dell’Ottocento che, infatti, diede il meglio di sé prima della grande guerra. Lo
scrittore del dopoguerra è stato uno studioso sempre più appartato e rinchiuso nella
routine e nelle sue responsabilità scolastiche. Scrisse molto anche in questa fase -
quasi sempre per l’Istituto Veneto- ma ritornò anche molto su questioni che aveva
affrontato da giovane. In quegli ultimi anni di attività i suoi interessi letterari presero
comunque decisamente il sopravvento e si diressero decisamente all’approndimento
dell’erudizione e del classicismo veneto del Sette e Ottocento, a cui dedicò pagine
 © Lucio De Bortoli - Appunti su Serena
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attraenti e vivacemente documentate86, mentre le poche incursioni sul terreno
propriamente storico finirono per coincidere con ristampe aggiornate e rivedute di
vecchie edizioni o con imprese condotte di malavoglia e affrettate, come la
ricostruzione storica -in ogni caso pionieristica- del Canale della Brentella.87
Fedele al suo ruolo e ripercorrendo significativamente la parabola carducciana, si
convinse sempre di più della necessità di dare il suo contributo alla costruzione di una
storia nazionale imperniata sull’esaltazione dei reali e sui valori della conciliazione e
della laboriosità, nel rispetto delle gerarchie e della fratellanza, sia pur gerarchica, di
classe.88 Questo spiega, in particolare per i decenni post-unitari, le omissioni, nei
quadri di sintesi e nelle elencazioni locali (Annali), degli elementi conflittuali, degli
scambi e delle tensioni, delle fortissime contrapposizioni ideologiche e politiche.
L’intenzionalità è evidente; depurare e ridurre all’essenziale, al percorso in
evoluzione, la storia recente, una storia migliore delle altre perché è la storia di un
paese nuovo e costruito sulla fede nell’uomo e nello stato. Si osservi, nell’ambito
dell’accuratissima ricostruzione dell’humus culturale del salotto veneziano e
86 Si veda, a titolo solo esemplificativo, Un insigne scotista trevigiano allo studio di Padova, in Atti
del Regio Istituto Veneto di scienze, lettere e arti (d’ora in poi IVSLA), Venezia 1922; Andriana Zon-
Marcello. Giacomo Zanella. Fedele Lampertico. Notizia e saggi di un carteggio, in Atti IVSLA, a.
LXXXIX, parte II, Venezia 1930; Confindenze di un precursore, in Atti IVSLA, a. XC, parte II,
Venezia 1931; La giovinezza del Paravia (Ricordi di un salotto veneziano), Atti IVSLA, a.XCI, parte
II, Venezia 1932; Dove nacque un amore del Foscolo. Divagazioni trevigiani, in Atti IVSLA, a.XCIII,
parte II, Venezia 1934; Carteggio inedito dell’Avogaro e del Tiraboschi, in Atti IVSLA, a.XLV, parte
II, Venezia 1936.
87 Cfr. per la ricostruzione dell’operazione editoriale di fine anni venti R. VERGANI, Augusto Serena
e il Canale della Brentella, in Augusto Serena cit. (Convegno), relazione. C’è però da aggiungere che i
primi abboccamenti tra il Consorzio Brentella e Serena risalgono addirittura al 1912, quando si invia
allo scrittore il Libro Rosso tradotto da Bailo. Nella lettera si fa notare che “dei libri interessanti la
parte storica del consorzio ve ne sono più di uno e forse non sarebbe male che Ella potesse fare qui una
scappata” (Corrispondenza privata, 1912, 27 dicembre).
88 Si vedano i modesti libri di testo compilati per Albrighi e Segati (Compendio di Storia d’Italia a uso
dei Ginnasi Inferiori,I- III, 1904) e Italia Bella, Appunti storici proposti per la 5^ elementare, !909. La
collaborazione con l’amico Frontero di Verona è documentata in Corrispondenza privata, 1909, 20
 © Lucio De Bortoli - Appunti su Serena
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moglianese di Andriana Zon Marcello e del suo prestigioso gruppo, lo spazio
dedicato al disegno di conciliazione stato-chiesa perseguito dalla nobildonna e
proposto dallo storico in un intervento all’Istituto Veneto all’indomani della firma dei
Patti Lateranensi: si trattò, nella fattispecie, di uno dei rari89 riflessi del presente sul
piano impermeabile del piano di ricerca. Serena fu tutto questo e partecipò a pieno
titolo a quella stagione edificatoria. Fu pertanto in continua, assidua, relazione con il
ceto dirigente, con gli uomini del potere. Prefetti, alti funzionari, burocrati, avvocati,
medici, il mondo insomma delle libere professioni, dell’inprenditoria e della
possidenza, un mondo che affiora assiduamente nella sua corrispondenza. Si tratta di
una presenza ossessiva, retorica, interessata, compiacente e rituale, una presenza
fondata sul semplice contatto come sul reciproco scambio di piaceri e favori. Nel
vasto paesaggio di nomi e di occasioni, compare però -eccezion fatta per coloro che
lo diventeranno come i giovani Bergamo e Silvio Trentin- un solo politico:
l’onorevole Pietro Bertolini.90
E’ comunque significativo constatare come tale fittissima rete di aderenze e di pesanti
conoscenze non abbia prodotto alcun mutamento, ideale e materiale, in una condotta
di vita ispirata alla modestia e alla sobrietà. Figura totalmente allergica ai rituali e alla
retorica dei salotti e dei circoli, Serena si appartò col passare degli anni in uno studio
sempre più autosufficiente. Proprio lui, che aveva redatto decine di testi d’occasione,
pretese con ostinazione il silenzio celebrativo anche per il suo collocamento a riposo
nel ’35 per limiti di età:
Iersera, con mio profondo sincero turbamento, Ella (si tratta di Emilio Zanette) mi ha fatto cenno
cortese di un proposito benevolo che avrebbero i signori professori nell’occasione della mia “morte
marzo, a proposito di alcuni ostacoli sollevati da un membro della commissione provinciale
esaminatrice dei libri di testo.
89 Un altro può essere individuato in Documenti riservati della polizia austriaca nelle provincie venete
1860-64, in Nuovo Archivio Veneto, vol.XXXII, Venezia 1916, stampato in piena guerra.
90 Sulla figura di Bertolini si veda Buosi. Maledetta Giavera cit., pp.181-238.
 © Lucio De Bortoli - Appunti su Serena
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civile”; e io con pronda sincerità, la ho pregata di far in modo, assolutamente, che non ne sia nulla.
[...] Io, fino all sera del 15 settembre, presterò onestamente servizio, con la migliore diligenza
possibile, affinché non si possa dire che ho rubato lo stipendio neanche di un giorno; e, la mattina del
16, mi ritrarrò inavvertito. [...]. Io (...) mi accontento di ritrarmene con la coscienza di aver dati tutto
quello ch epotevo, tutto quel che sapevo, facendo del bene a moltissimi che non lo sanno, non facendo
mai del male a nessuno
E, poi, di fronte alle reiterte insistenze, chiudeva lapidariamente ogni discussione:
La cosa passi inosservatissima; e non se ne parli mai più, in nessun modo91
Pur con tutti i limti ideologici e politici di un programma di vita e di ricerca
saldamente ancorato nella difesa ad oltranza dei valori liberali ottocenteschi, va
onestamente ammesso che Serena non si spostò mai dalle sue posizioni. Così, se, ad
esempio, non prese pubblica posizione contro il fascismo, nemmeno, a quanto risulti,
la prese a favore o tentò il riciclo come fecero altri, a cominciare da Bailo e Coletti: e,
infatti, nel corso del ventennio cadde in disgrazia e venne inesorabilmente emarginato
da ogni incarico o funzione istituzionali. Questo per gli ideali. Sotto il profilo
squisitamente materiale, va subito precisato che l’uomo, nonostante le numerose
opportunità fornitegli dalle sue posizioni, non venne mai tentato da quelle occasioni
che, come si suol dire, trasformano atti e coscienze. Un certo benessere gli venne
sicuramente portato dalla molgie, Elvira Masobello di Venegazzù, proveniente da
famiglia di importanti imprenditori.92 I coniugi Serena e i tre figli (Dante, Aurora e
Letizia) abitarono a Treviso in affitto a Borgo Cavour fino alla metà degli anni ’20
quando ascquistarono finalmente da Appiani un modesto alloggio in viale Eden. A
91 Sono le parole che scrisse in quell’occasione a Emilio Zanette, promotore delle onoranze, che
raccontò la lunga vicenda nel Gazzettino del 31 agosto 1935; le parole finale sono riportate nel profilo
di A. POMPEATI, Augusto Serena, Treviso 1952, p.3.
92 Il costante, amichevole e molto confidenziale rapporto con il cognato Silvio Masobello è
documentato dalla nutrita corrispondenza (anni diversi). L’azienda Masobello era stata insignita di
numerose onorificenze in occasione delle Esposizioni di Lione e Bordeaux. La famiglia, inoltre,
commercializzava bibite e disponeva di una deposito di birra a Montebelluna.
 © Lucio De Bortoli - Appunti su Serena
34
Montebelluna, che Serena non ha mai scisso dalla religione delle sue “vecchie
case”93, i coniugi vendettero nel 1912 il villino che avevano costruito qualche anno
prima vicino a Bertolini e col ricavato acquistarono una casa tra Pieve e Visnà dopo
lunghe e laboriose ricerche da parte degli amici montebellunesi, Cencio Severin e
Luigi Bergamo.94 Lo studioso si spense il 25 giugno del ’46 e già in novembre
l’avvocato di famiglia proponeva al Comune di Treviso l’acquisto della biblioteca,
oltre 15000 volumi, numerose raccolte di periodici culturali e svariato materiale
archiviato (inediti, carteggi, corrispondenza). Decisamente, Augusto Serena non era
diventato ricco. 95
93 Case alle quali dedicò il trittico di sonetti intitolato per l’appunto Vecchie Case e apparso in Cl, a.LII
(1911), n.9.
94 Le operazioni immobiliari compaiono in Corrispondenza privata, anni 1907 e 1912. Per quanto
riguarda la prima, dopo le numerose proposte di Bergamo, Serena decide di costruire e di affidare i
lavori all’impresario Alfonso Guselotto (lettera di questi del 15 dicembre 1907 con la quale comunica
il termine dei lavori). La vendita del 1912 (la casa è presente sul mappale n.327 F.I) è punteggiata dei
biglietti di Sofia Bertolini dispiaciutissima per la decisione del professore che invitava spesso a pranzo.
Nel corso dell’anno Serena acquisterà un’abitazione più vicina al centro (trattative della seconda metà
del 1912).
95 La trattativa, condotta dall’avvocato Visentini per la famiglia e l’assessore Antonio Dalla Rosa, si
arenò di fronte alla richiesta di Elvira Masobello di vendere tutto in blocco per la cifra di due milioni di
lire e alla proposta di Coletti di acquistare solo i manoscritti e i carteggi (cfr. BCTv, Bibliografia
Trevigiana, busta Serena, carte diverse). Per le esequie e per la grande risonanza dell’evento in città si
leggano le cronache dei funerali nella stampa, in particolare Il Gazzettino del 27.6.46 e il necrologio,
ad un anno dalla morte, di Lizier, ne Il Gazzettino del 19.6.47.
 © Lucio De Bortoli - Appunti su Serena
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E’ stato scritto che pochi altri studiosi della sua generazione hanno dedicato tanti
sforzi e energie alla storia del proprio luogo natìo. E, in effetti, Montebelluna
compare spessissimo nella bibliografia sereniana. E, prima di tutto, compare,
direttamente e indirettamente, nei suoi versi, dalla elegiaca amarezza di Co torno a
casa, alla panica e paesana reviere de La vendema:96
Te ricordistu el dì de la vendema?
Mi, quando ghe penso, el cuor me trema
Se andava tutiquanti in alegria
su per i trozi de le nostre rive:
i castagnèeri, come ombrele vive,
sora la testa i ne fazeva ombria;
se andava tutiquanti in alegria.
[...]
Mi despico un bel graspo da le vide;
e po te digo: “Lo magnemo insieme?”
[...]
Un gran a ti, e un gran a mi, magnemo
quel bel graspo sentadi su l’erbeta;
se magna l’uva, e i làvari se neta
co i basi che più dolzi se scambiemo:
un gran a ti, e un gran a mi, magnemo.
[...]
Noaltri do, soto ‘l to scial, a brazo
da drio de tuti come zente straca,
se corèa sì, ma co la santa fiaca;
no se sentiva gnanca quel scravazo
noaltri do, soto ‘l scial, a brazo!
Sino alla liturgia del radicamento, il sacramento della casa in Casa Nova (ai me
putei): 97
I vostri cuniceti ga la tana,
el vostro cardelin ga la chebeta:
no savè che de gusto che i fa nana,
co vien la sera, ne la so niceta?
Stè dunque alegri, che fra ‘l verde sana
go fabricà per valtri una caseta.
96 Cantilene cit., pp.13-16. Si legga, nella stessa raccolta
97 Cantilene cit., p.56.
 © Lucio De Bortoli - Appunti su Serena
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Lassè che i diga, che la xe lontana;
lassè che i diga che la xe imperfeta.
Inveze valtri, co sarè cressudi,
vivèghe in pase; guadagneve el pan
co le vostre fadighe e i boni studi.
Mi, soto l’erba, dormirò: ma ‘l cuor,
che vegia sempre, tegnirà lontan
el fogo l’ipoteca e ‘l disonor.
Montebelluna, insomma, ritorna ossessivamente nella mente e nel cuore di un uomo
che ha dovuto lasciarla molto presto per cercare altrove le sue ragioni di vita. E la
portata di tale continuo ritorno trova conferma nella convinzione diffusa che storia
montebellunese e Serena siano per molti versi sinonimi, un’immortale equivalenza.
Ma non si tratta solo di impressioni umbratili perché Augusto Serena ha
effettivamente costruito il quadro delle conoscenze di fondo sulle quali il
montebellunese ha faticosamente appoggiato, con evidente ritardo rispetto a realtà
contermini, la propria riconoscibilità storica. Il fatto che si sia dovuto attendere così
tanto per veder delineati i prospetti storici del territorio è facilmente spiegabile con la
particolare evoluzione socio-economica di un luogo che ha patito la radicale cesura
storica determinata dal crollo del suo destino fortificato e la permanenza nel tempo di
un emporio commerciale privilegiato spazialmente, e quindi nei termini chiusi e
angusti del colle. Lo sviluppo si è disperso al piano, dando vita a forme di
appoderamento profondamente segnate, sin dal Cinquecento, dalla concentrazione
della proprietà. L’estensione dell’insediamento condusse al policentrismo che,
connesso alla permanenza sul colle dell’emporio, ha di fatto lungamente impedito la
nascita di una effettiva ed evidente dimensione urbana. Non v’è dubbio quindi sul
fatto che caratteri rurali così “lunghi”e così profondamente invasivi abbiano segnato i
 © Lucio De Bortoli - Appunti su Serena
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tratti di una coscienza collettiva naturalmente immune dall’esigenza di guardare al
proprio passato nei termini che la cultura scritta ha assegnato a tale processo. E’
sintomatico, infatti, che prima delle opere di Serena gli unici testi prodotti da
montebellunesi, nativi o di adozione, siano stati di carattere pseudo-giornalistico,
relazioni informative, perorazioni, sermoni o poemetti. Questo per dire che egli
cominciò a indagare avendo alla proprie spalle un sostanziale vuoto conoscitivo -se si
eccettuano i numerosi ma nozionistici riferimenti/frammenti della grande storiografia
erudita di antico regime.
Rispetto a tali frammenti il percorso di Serena appare sin dall’inizio -
Montebelluna, ed.1890 e poi le edizioni della Cronaca del 1903 e quella postuma del
1948- già strutturato e soprattutto lucido nell’individuazione dei cosiddetti temi
“forti” del territorio. Si veda, a questo proposito, il percorso attraverso il quale
l’autore giunge a mettere assieme i tasselli in una serie serrata di contributi apparsi a
più riprese in riviste o in piccoli opuscoli. I temi sono quindi, sia pur inizialmente,
fissati nella misura breve, nel taglio solo apparentemente episodico. Si pensi, allora, -
e per tacere degli scritti e dei versi d’occasione o celebrativi- al giovanile Mercato
Vecchio 98 apparso presso i tipi dell’amico tipografo Alvise Pulini, si pensi alla dianzi
ricordata edizione del 1890, l’ anno che precede la laurea, a La questione montelliana
del 1892 (Adriatico), al primo omaggio al Dalmistro (Su la vita e le opere di Angelo
Dalmistro) per Annichini del 1890; ancora, alla piccola Cronaca di Venegazzu,99 al
privilegiato tema della battaglia di Cornuda100, ai lavori su Fra Enselmino alla fine del
98 Mercato Vecchio, Montebelluna 1888. Le presenti annotazioni “montebellunesi” riprendono, in
parte, il contributo di chi scrive, Serena e la costruzione della storia di Montebelluna, in Augusto
Serena cit., (Convegno), relazione.
99 Cronaca di Venegazzù, Verona 1895; cfr. anche Documenti storici di Venegazzù, Treviso 1904
100 I morti di Cornuda, in Emporio Pittoresco, a.XXXVI, N.1304, Milano 1889; Cornuda 1848-1898
(inaugurandosi il monumento ai morti di Cornuda), Montebelluna 1898; Una cronaca inedita del 1848,
in Cl, LI (1910), n.6.
 © Lucio De Bortoli - Appunti su Serena
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secolo, ai testi di occasione101, ai primi approcci alla questione del Brentella,102, alla
prima edizione degli Annali,103 alla prima edizione di San Vigilio dello stesso anno104
, all’intuizione de Alla caccia dei Tiepoli 105, al ricco Liber aureus Montebellunensis
106, a San Raphael con lo splendido catastico quattrocentesco dello strade107 , a La
colonna delle Ducali,108 all’originale Musica montebellunese109, a Umanesimo e
Sant’Offizio a Montebelluna 110, al fondamentale Fra registri e marmi 111 con la storia
di Santa Maria in Colle, alle numerose riedizioni accresciute di molte incursioni di
inizio secolo, sino all’opera d’assieme sul Brentella, sino insomma alla confluenza di
tutto questo nella misura breve e selettiva degli Annali del 1915112 e, soprattutto, nella
revisione della prima lontana edizione de la Cronaca, revisione che lo storico stava
ultimando quando si spense il 25 giugno del ’46.
Un’opera dunque di scavo e di animazione rappresentativa fondata sulla definizione
di precise coordinate. Si prendano, ad esempio, le farraginose, dolorose, vicende del
castello, incardinate nel generale subbuglio delle lotte signorili del ‘200 narrate con
piglio sciolto e gusto per il dettaglio. E’ interessante notare come Serena riesca, anche
in queste pagine così obbligatoriamente ricche di eventi politico-diplomatici, ad
aprire varchi non incongrui di microstoria, segnalando sempre la necessità di dar
conto della vita comunitaria, sia pur inevitabilmente schiacciata nei grandi fatti.
101 Uno per tutti: L’acqua a Montebelluna, in La Libertà, III, n.257, Padova 1902.
102 Sulle rive della Ru, in Cl, XLV, ma 44 (1903), n.5.
103 Annali Montebellunesi, Treviso 1905.
104 San Vigilio, in Cl, XLVI (1905), n.5.
105 Alla caccia dei Tiepoli, in Cl, XLVIII (1907), n.10.
106 Liber aureus Montebellunensis, in Cl, XLVIII (1907), nn.8-9.
107 [E. Straus] San Raphael, in Cl, XLVIII (1907), n.5.
108 La Colonna delle Ducali, in Cl, XLIX (1908), n.10. Cfr. inoltre, Idem, con L. Coletti, in Arte
Nostra, II, n.3, 1911.
109 Musica Montebellunese, in Cl, L (1909), n.9.
110 Umanesimo e Sant’Uffizio a Montebelluna, in Cl, L (1909), n.8.
111 [E. Straus] Fra registri e marmi, in Cl, LI (1910), nn.1-3.
112 Annali Montebellunesi, Treviso (Carestiato e Sanson), 1915.
 © Lucio De Bortoli - Appunti su Serena
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Tratto in gran parte dai cronisti, il racconto, in questi frangenti due-trecenteschi,
precede spesso a sbalzi, in una sequenza vertiginosa di episodi, figure, accadimenti,
elaborazioni e resoconti suggestivi, non di rado di gusto essenzialmente letterario. Gli
esempi sono numerosi, e basti qui ricordare per tutti l’elaborazione dello stereotipo
del traditore, lungo i contorni di uno schema, più o meno invariabile, basato sulla
presenza, all’interno del castello, di coloro che poi ne apriranno i portoni o che
indicheranno all’assediante i tempi e i luoghi dell’attacco. E’ questo un Serena che
attinge a piene mani alle fonti erudite (Verci, Muratori, Bonifacio, Malinpensa,
cronache cittadine) e che mostra, qua e là, consapevolezza della precarietà di alcune
cosiddette verità, specie di quelle provenienti dalla vulgata neoguelfa.
Lo sfondo rurale emerge invece nel taglio e nel registro più congeniale di quel regesto
documentario che l’autore volle chiamare -con finissima ironia da pochi colta,
essendo le cose di casa propria sempre prese troppo sul serio- Annali Montebellunesi.
E qui la gran copia di informazioni minute appare soddisfare l’esigenza,
assolutamente evidente, di dar voce, nome, spazio, a coloro che l’autore, con impulso
tardo romantico-popolare e non solo sul versante letterario, continuava a chiamare
“gli oppressi. Si tratta, nel nostro caso, delle registrazioni sintetiche delle vicende
raccontate ne la Cronaca, e di una serie di schedature documentarie sparse
provenienti dalle pratiche testamentarie e matrimoniali, dalle doti, dai lasciti, dalle
donazioni, dalle compravendite, dalla documentazione fiscale, insomma dalla
quotidianità comunitaria che più tardi, definita e modellata su criteri statistici e
relazionali, si guadagnerà l’accesso alla storia materiale e della mentalità. E’ se mai
interessante far notare come gli Annali si presentino, a distanza di anni, più
“moderni” per la nostra sensibilità rispetto a la Cronaca. Là dove questa appare
serrata in una prosa solida ed evocativa ma, inevitabilmente, d’antan, quelli
prefigurano, nella rapsodica essenzialità della loro asistematicità, una sorta di
 © Lucio De Bortoli - Appunti su Serena
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archivio, un repertorio di fatti e di nomi che, negli auspici dell’autore, avrebbero
generato -o che avrebbero dovuto generare- il desiderio di andare oltre tali dritte, allo
scopo di piazzare altre tessere nel mosaico. E che il repertorio si concentri,
soprattutto, sui secoli medioevali e di antico regime appare evidente dall’eclatante
lacunosità degli ultimi decenni, per i quali ci si limita a fornire gli stadi
d’avanzamento, evitando, come detto, di dar conto dell dinamiche conflittuali. 113 La
scelta, ovviamente infelice, trova però spiegazione nel particolare approccio arcadico
alla storia del paese che cercheremo di spiegare. Ciò comunque non toglie che gli
Annali siano frutto di uno scavo d’archivio, se non sistematico o programmatico, di
un certo peso specifico e che si avvalse dei contributi inediti assicurati dai numerosi
contatti e dalla continua relazione con ricercatori e responsabili degli archivi
trevigiani (su tutti Angelo Marchesan). Sul piano locale, Serena fu comunque -e
ovviamente- il primo che sondò, a fondo e con rigore, quanto contenuto in ciò che
tuttora rimane dell’archivio prepositurale di Montebelluna. E di ciò fan fede tanto i
numerosi scambi epistolari con i prevosti, quanto le sue inconfondibili sottolineature
in matita rossa dei documenti.114
Ma, al di là di questi passaggi operativi, quel che va ora precisato è, per l’appunto,
l’approccio al tema Montebelluna. Convinto che di Montebelluna non si potesse che
fare la cronaca, Serena intese il racconto del passato come incessante tornitura di temi
e di episodi, concepiti e modellati come una sorta di principi organizzatori attorno ai
quali far ruotare il tempo. Si presti attenzione al tema del Feudo Vescovile, capitolo
113 Si veda, per questo, un breve inventario delle assenze in Buosi, Notizie cit., pp.5-6.
114 Il rapporto con i prevosti (in particolare con mons. Bortoletto) è provato da Pesce, Carteggio cit.,
p.172. I rapporti con monsignor Furlan (su di lui si veda la monografia di R. SQUIZZATO, Mons. G.
Furlan, Venezia 1940 e, ora, il profilo di G. GALZIGNATO, Mons. Giuseppe Furlan (1866-1939),
Parroco di Montebelluna, Postfazione a A. Dal Colle, Diario di Guerra, a cura di P. Asolan e G.
Galzignato, Montebelluna 1997) sono invece abbastanza fitti nella Corrispondenza privata, anni
 © Lucio De Bortoli - Appunti su Serena
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che apre il libro e che prosegue in quello dedicato al Mercato, essendo i due termini
inscindibili. Qui lo storico ripercorre, con insolita pazienza documentaria, il lungo
viaggio che, a partire dal feudo vescovile, transita per le note concessioni imperiali
del foro privilegiato, si inoltra nei tempi di ferro e di fuoco delle lotte medioevali e
prosegue, lungo “un’iliade” di ducali, sentenze, provvisioni, sospensioni, conflitti e
contenziosi, nei secoli di antico regime. E’ un resoconto condotto con notevole abilità
stilistica, soprattutto grazie alla capacità di tenere in equilibrio racconto e precisione
filologica, tempi serrati e visioni dilatate, insomma micro e macro, e tutto ciò, val la
pena di precisarlo perché è un dato che appartiene a pieno titolo alla specificità dello
studioso, facendo leva su un indubbio talento. E’ lo stile, in definitiva, che tiene unita
la trama che il ricercatore cerca di tessere; quella trama che, col senno di poi e con
tutte le avvertenze che l’iper settorializzazione dei saperi è capace, può apparire ora a
volte pericolante, quanto meno non sempre ben puntellata nell’incrocio delle fonti o
nella verifica dei risultati. L’osservazione consente allora alcune note a margine. La
prima: Augusto Serena non era uno storico. Non era uno storico nel senso che ora
attribuiamo a tale competenza. Augusto Serena era un letterato animato da profonde e
serissime curiosità storiche; storico-culturali, in primo luogo, e di ciò fa fede, come
abbiamo visto, grandissima parte della sua numerosa produzione saggistica. La
seconda annotazione è naturalmente lo sviluppo della seconda: quando Serena si
occupa di storia lo fa nei modi trasmessi dagli eruditi di provincia del secondo
Ottocento, nel clima e nel gusto culturale di fine secolo, nel quale la matrice
genericamente positivistica privilegia un approccio storico attento al costume e alle
tendenze: e lo fa facendo un uso sentimentale delle fonti. D’altronde, sotto le righe,
non è difficile percepire che per gli eruditi di quella generazione non si c’era ricerca
diversi; in particolare, degna di nota e la collaborazione, prima dell’incidente riportato dianzi, con Don
Saretta, prodigo di informazioni, puntualizzazioni e consigli (anni 1910,1912).
 © Lucio De Bortoli - Appunti su Serena
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senza affetto, senza quegli aneliti e afflati emozionali capaci di animare attenzione e
rigore conoscitivo attorno al culto documentario. Niente a che vedere in ogni caso
con i “romanzi” o le “fantasticherie”, termini con i quali egli si riferiva, non di rado,
ad alcuni cronisti trevigiani del passato. Il radicalmente laico Serena era uno scrittore
razionale, uno studioso in relazione logica con le proprie fonti, e non c’era nessuno
più lontano di lui dalla pratiche degli stucchevole e patetici affabulatori di aneddoti
paesani.
Sono sempre valide, in questo senso, le note che l’amico Pompeati dedicò a tale
atteggiamento:
Ma ci sono eruditi ed eruditi. Ci sono i micromani, i maniaci del piccolo e del comune, che scovano
instancabilmente dal passato le briciole, le notiziole di nessun rilievo e le figure più
insignificanti...Altri, invece, frettolosi, entusiasti, incapaci di dubbi, insofferenti di freno, sono di
quella specie invadente che una volta allignava facilmente proprio in provincia; sono coloro che si
sentono in dovere di interpretare ad ogni costo le vecchie testimonianze in gloria della terra nativa...a
onore del proprio campanile.115
E, a proposito di Serena, denunciava la sua lontananza da tali pratiche, specie dal
preconcetto campanilistico:
Addestrato alla disciplina del metodo storico, aveva il culto della verità severamente accertata, e la
verità conquistata con lunghe fatiche non intendeva subordinarla a nessuna forma di scriteriata vanità
cittadina.116
Lo studioso detestava i campanilismi di paese e chi li praticava. La solenne
stroncatura dell’opuscolo su Biadene di Don Ambrosi è in questo senso un modello.
Al di là dei plagi di una memoria anomima accuratamente smascherati,
Il male peggiore è ch’egli ha cucito insieme codesti brani con un manifesto e petulante
intendimento polemico; per dimostrare che Biadene è più antica di Montebelluna (se non voleva altro!
115 Pompeati, Augusto Serena cit., pp.10-11
116 Ibidem, p.11.
 © Lucio De Bortoli - Appunti su Serena
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-poteva dimostrarla antica quanto il mondo, riferendosi a quel luogo della Scrittura “In principio creò
Dio il cielo e la terra” e quindi anche Biadene) 117
Il metodo storico a cui accennava Pompeati consisteva nella capacità razionale di
individuare i nodi e di organizzarli in problematiche, generando così il piacere
prodotto dal conoscere le tappe di un lungo viaggio e del suo corredo di vicende
sentite, soprattutto, nella loro umanità. E ciò spiega i paternalismi, le indulgenze, le
ironie, la tolleranza, le dimenticanze e le sottovalutazioni di aspett.i che ora -si badiappaiono
importanti; ciò spiega, però, anche la commossa sensibilità: è storia piccola,
sembra dirci, ma è la mia storia, quella della mia terra e mi piace lo stesso. Valgano a
conferma gli pseudo manzoniani incipit di molte sue opere, in particolare quello di
San Vigilio:
“Chi, per la via di ferro, lasci Treviso dirigendosi a Belluno, poi che abbia attraversato l’alta
campagna trevigiana fin sopra la Via Postumia, mira verdeggianti protendersi i colli di Montebelluna
verso l’altra isola collinesca del Montello, allineandosi con essa parallelamente alla catena prealpina
dalla quale sbocca il Piave. L’estrema punta orientale de’ colli montebellunesi è segata, sopra, dalla
strada di Bocca Cavalla, che mette da Montebelluna a Biadene...Su quest’ultimo promontorio, che
prospetta il Montello e n’è diviso da un antico corso del Piave, sorge un vecchio palazzotto, quasi a
dominare la pianura trevigiana fin giù alla città; e dove esso promontorio ha l’ultima radice, resta
ancora, attigua al palazzo, un’umile chiesuola campestre. E’ San Vigilio.” 118
E, speculare, si veda quello di San Raphael:
Là dov’era più alto e più tranquillo il sorriso del verde, sotto il nitido azzurro del ciel primaverile; là
dov’era quasi più sacra, sulle cime dei colli montebellunesi, la selva dei castagni secolari; era sorta
117 Cfr. [Ariele], Bartolomei Ambrosi: la mia parrocchia (recensione), in Cl, XLIV (1902), n.4,
asterischi critici. La memoria anonima, da cui l’Ambrosi aveva copiato ben 22 delle 58 pagine del suo
libello, era conosciuta con nome del cav. Manin.
118 San Vigilio, seconda edizione migliorata, senza luogo di edizione, 1937, p. 7. In copertina,
splendida dedica autografa che è d’obbligo riportare: “Al carissimo cav. V. Gusèo / queste reliquie di
naufragio / racimolate a caso / dopo la dispersione di troppe altre cose / meno indegne di
considerazione / in tanti anni perpetrate e sperdute / salutando manda per ricordo / il fu Augusto
Serena”.
 © Lucio De Bortoli - Appunti su Serena
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la chiesetta di San Raphael, secondo il pio costume degli avi, di porre il loro territorio sotto la vigile
protezione d’un principe celeste.119
Oppure i modi in cui tratteggia, con tocchi rapidi, ma sapienti, i contorni dei tanti
personaggi che assiepano il racconto. Si veda, ad esempio, il ritratto del prevosto e
letterato Dalmistro:
Alto e corpulento di statura, aveva le membra giustamente proporzionate, rubiconda la faccia, sereno
l’aspetto. Aitante e bello in giovinezza, si conservò un bell’uomo, e fu un bel vecchio. Non gli
dispiacque, per ciò, che pittori valenti lo ritraessero.120
O quello, mediato dalla testimonianza di un contemporaneo, di Aglaia Anassilide, al
secolo Angela Veronese:
Mi volgo -racconta il Corcirese- e veggo una figura esotica, goffa; faccia lunga e secca e tutta
abbronzata dal sole, voce spaventevole, modi e vestimenti zotici, e troppo franchi da un’ora; sembrava
una delle Parche.121
E, per altri versi, la difesa, appassionata, delle ragioni del sito, spogliato di quel poco
che poteva vantare sul piano dell’arte alta, nella fattispecie la tavola di Girolamo da
Treviso il Vecchio a proposito della quale, raccontando i vani tentativi di riportarla
nel sito originario, non perde occasione di polemizzare con l’accademia:
perché, quando teorizzano, i maestri dell’arte e della critica sostengono fervidamente che le opere
devono essere esposte nei luoghi per i quali gli artisti le concepirono e le eseguirono; ma, quando
sentono l’influsso di certe opportunità, con fervor anche maggiore sostengono che stanno meglio
altrove.122
119 San Raphael, Treviso 1907, p.9.
120 Nel centenario di Angelo Dalmistro, in Atti IVSLA, a.a. 1938-39, t.XCVIII, parte II, Venezia 1939,
p.5 dell’estratto.
121 Appunti Letterari, Aglaia Anassilide, Treviso 1903, p.97. Di Angela Veronese Serena si occupò
anche in Dall’Arcadia all’avvento della Sinistra, in Cl, L (1909), n.10. Della poetessa arcadica di
Biadene si legga inoltre l’autobiografia in edizione critica, Anassilide A., Notizie della sua vita scritte
da lei medesima, a cura di Pastore Stocchi M., Firenze 1973
122 San Vigilio cit., p.19
 © Lucio De Bortoli - Appunti su Serena
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O anche le note di colore, letterarie certo, con le quali fantastica sul mercato
medioevale in un testo giovanile, ma già completo di riferimenti tematici che
verranno poi confermati dalla ricerca:
Una domenica di maggio, mentre le campane di San Cristoforo suonano mattiniere, e dai vitiferi colli
e dalla soggetta pianura sale un’aria balsamica vivificante, nelle anguste piazze i venditori espongono
la loro merce, i bottegai fanno capolino dalle impannate delle loro case di legno, e intanto dalle tre
porte il popolo si versa nel Castello. Vi giunge, appoggiandosi su ferrato bastone, il vecchio
mulattiere, che, venuto di lontano, avrà pernottato alle Madonentte con la sua bestia carca di
mercanzie soggette alla gabella; vi giunge il villano de’ contorni spingendo col pungolo il tardo bue
immune da dazio; e dietro ad essi, frotte di donne, forse con polli ed ortaggi, certo con una parlantina
degna del sesso e del mercato...123
E Naturalmente le pagine dedicate a S. Maria in Colle e la chiusa, dopo una rassegna
implacabile di fatti e di altari, di ipotesi e di certezze, inaspettata e intensa, del
passaggio al piano anche della chiesa, incontro ai nuovi tempi e alla nuova gente:
Si suol dire, che il tempo è un gran medico: ma esso è anche un gran vescovo; e le chiese, che egli
consacra nei secoli, e conserva mirabili all’affetto dei posteri, sembrano più sante a tutti, anche a
coloro che non le frequentano vistosamente, ma pur vi sentono quell’aura del divino, che ivi
cinconfuse il fonte del battesimo e la bara dei più cari. Dolse, perciò, a molti il progettato abbandono
della vecchia chiesa.124
Ma, degna di nota è anche la vena ironica con cui si volge, compiaciuto, alle
intraprese di un mondo campestre nel piccolo capolavoro che è il testo dedicato alle
torre campanarie di S.Maria in Colle e a suoi organisti che è Musica montebellunese:
Cominciamo dalla più alta; quella dei campanili. Chi dicesse le disgrazie dei campanili di Montebelluna, darebbe
a credere ch’essi fossero in ira al cielo e alla terra125
123 Mercato vecchio, in Congresso Operaio, numero unico, Montebelluna 1888.
124 Fra registri e marmi, Treviso 1910, p.23 (già in Cl, 1910,), poi in Cronaca Montebellunese,
Treviso, (ed. 1948) p.105.
125 Musica montebellunese, in Cl, L (1909), n.5 (p.19 dell’estratto Paralipomeni di cronaca
montebellunese, Treviso 1909 comprendente Umanesimo e Sant’Uffizio e Musica montebellunese.
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O ancora le inopinate uscite per spezzare la fatica del lettore tra una citazione
documentaria e un resoconto puntiglioso:
Oh, i nostri vecchi!
....e tra l’una e l’altra di queste malinconie...”126
2
Non è escluso che in relazione diretta con tale mistura di toni e di sapori ci fosse il
suo rapporto con il paese. Un rapporto, va detto subito e senza infingimenti, non
facile. Serena amava il sito, le rive, i valloni, i luoghi dell’ameno e della memoria. Si
legga, ancora da San Raphael, la descrizione idillica dell’ascesa alla chiesetta il
lunedì di Pasqua:
Il popolo minuto, d’ogni sesso e d’ogni età, (...) tutto festoso vi saliva a piedi, allegrandosi del sole
tiepido, della natura verde, della salita sempre varia, che faceva tanto bene e che offriva, ad ogni
svolto di rampa o di sentiero, si stupendi e si differenti panorami. (...) Per via, era tutto uno
scambiarsi di riverenze e di saluti, dai cigli de’ viottoli all’alto delle campestre quadrighe, e da queste
a quelli; era tutto un incrociarsi di canti e di motti, di fischi e di richiami; (...) E, quando si era giunti
sulla cima, come tutto pareva bello, in quel verde spalto finalmente conquistato!127
I rapporti sociali, come ben testimonia lo spoglio della sua corrispondenza, erano
invece difficili e minati dalla reciproca incomprensione, confinati sostanzialmente a
qualche amico; come Luigi Bergamo (Gigio), lo stampatore Pulini, Giulio Legrenzi,
Sanson e pochi altri. Come quel Vincenzo Severin al quale l’autore dedica San
Vigilio con parole toccanti e significative che meritano il ricordo:
Son pagine modeste, com’è modesta la sorte nostra e la nostra amicizia; ma avventurose saranno, se
dureran come questa, cioè quanto la vita.128
126 Ibidem, pp. 21,29.
127 San Raphael cit., pp.11-12.
128 San Vigilio, cit., dedica. Serena era particolarmente legato anche all’ambiente della Società
Popolare di Mutuo Soccorso (in particolare all’avvocato Giulio Aurelio Legrenzi al quale, appena
spentosi nel febbraio del 1903, dedicherà la prima edizione della Cronaca), che aiutò in svariate
occasioni e alla quale, sia pur indirettamente, contribuì con consigli, scritti (epigrafe Innocente del
1907) e segnalazioni di oratori in occasione delle celebrazione commemorative (cfr., ad esempio,
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Arturo Pompeati, in occasione della sepoltura definitiva del “maestro” nel cimitero
cittadino, parlò spesso nel suo necrologio dell’indulgenza di Serena nei riguardi del
suo paese. L’indulgenza a cui alludeva Pompeati era però generata dall’amore
ancestrale per i quadri profondi del paese. La chiesa prepositurale, le chiese
campestri, le ville, l’alacrità del mercato e la tenacia della difesa del suo privilegio, i
corsi della Brentella, le strade, le figure che si stagliano sullo sfondo campestre.
Pompeati parlava quindi a ragione “di un caro presepio rievocato dalle memorie
innocenti dell’infanzia”. In effetti il modo in cui Serena affronta Montebelluna
risente infatti della percezione di un tempo bloccato, in qualche modo, nel suo
immaginario129 , una sorta di paradigma di lunga durata che fa del paese, nella sua
fisicità di valloni, balzi e siepi, il luogo dei soli affetti meritevoli. Ed è poi inevitabile
che l’evocazione di un tempo fermato nelle immagini dell’affetto, un tempo
dell’infanzia, tagli le scene fuori posto e si scontri con la realtà di un consorzio sociocivile
ancora incapace di elaborare la propria memoria o di apprezzarne il senso e la
funzione.
Forse così si spiega l’amarezza che traspare da alcuni passaggi della Presentazione
della prima edizione della Cronaca e che val la pena di ripercorrere:
Questa Cronaca Montebellunese è il frutto di quindici anni di indagini, intermesse e riprese, ma non
mai abbandonate -e riferendosi alla prima stampa del 1890- quando a’ miei giovani anni sorrideva
Corrispondenza 1907, per la commemorazione di Garibaldi). Le comunicazioni, frequenti e intense
con gli amici, sono documentate in Corrispondenza privata, anni 1890-1918 ed è qui impossibile
darne conto; particolare rilievo assume il rapporto con Luigi Bergamo, del quale si conservano
numerosissime missive relative alle più svariate circostanze di vita e di lavoro e che dimostrano come
Bergamo nutrisse per Serena un’autentica e sconfinata ammirazione.
129 Lo confermano le “amaritudini” di certe consapevolezze: “Ma, intanto, il mondo cambia d’aspetto;
e rare, ormai, restano le traccie della semplice vita antica. Forse, domani si perderanno anche i nomi.”
(San Raphael cit., p.13)
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facile l’illusione, che i montebellunesi dovessero compiacersi di tali memorie, e favorirne e
accompagnarne gli studi con la loro simpatia. Nessuno, quasi, se n’accorse....130
e ancora
Ma, trovandomi poi fra le mani questo libro (l’edizione del 1903): e considerando che facilmente
sarebbe potuto un giorno finir dal salumiere, senza che altri ne avesse avuto vantaggio o incitamento
a far meglio, magari in una generazione meno indifferente della nostra a ciò che non sia di volgare
utilità; ho pur voluto moltiplicarne le copie dandolo alla stampa.131
Un atteggiamento quindi disincantato, nel quale trova conseguente spazio la
motivazione personale (“senza più pensare a soddisfazioni che ne ne potessero
venire, tranne quella di saperne, intorno al mio paese, una carta di più degli altri”) e
la rivendicazione di competenze che non vengono né riconosciute, né individuate da
un tessuto sociale incapace di “intendere come talvolta una semplice data costi mesi e
mesi di ricerche”.132
Sarebbe facile chiamare in causa lo snobismo o l’alterigia intellettuale, ma
sarebbe operazione sostanzialmente priva di senso. Il problema non è accusare un
ambiente e una persona per ciò che il primo non era diventato e per ciò che il secondo
non capiva cosa il primo fosse. Il punto sembra essere se mai un altro: solo un
montebellunese cresciuto tra fine Ottocento e primo Novecento culturalmente altrove
poteva costruire gli schemi di elaborazione di una memoria che non fosse solo quella
orale e che potesse quindi dare senso compiuto e strutturale alle minutaglie locali,
troppo spesso lette come eventi epocali. In questo senso la lezione di Serena, a
distanza di tanti decenni, e di fronte alla persistenza degli irriducibili schemi mentali
130 Cronaca cit., Presentazione.
131 Ibidem.
132 Ibidem.
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da strapaese che dominano spesso menti e penne è sempre valida e andrebbe riletta,
seppur con intenti prettamente storiografici e non ideologici come quelli dell’autore.
Si può ipotizzare che l’atteggiamento scientifico in qualche modo riduttivo
(Cronaca) nei riguardi del passato del paese, non meritevole cioè di attestazioni di
storicità alta, possa essere stato originato dalla consapevolezza della distanza tra
l’intellettuale e l’oggetto della ricerca. L’ipotesi non va scartata, ma è più verosimile
supporre che l’atteggiamento riduttivo non si configuri nei termini che
tradizionalmente si propongono in questi casi. In altri termini, da parte dello studioso,
non si trattava di negare proporzioni storiche ad un luogo perché troppo piccolo o per
la quotidianità delle sue vicende; non si trattava cioè della convinzione che la storia
dovesse essere riferita a territori ampi o a eventi celebri. Molto più semplicemente,
era per Serena difficile, se non impossibile, conciliare l’affettività più volte espresse
nei riguardi del luogo natìo cone le angolazioni conoscitive di stampo scientifico. E
non è detto che nell’ottica dell’autore la cosa dovesse suonare come svilente.
Riconoscere alla montebellunesità la patente di storicità autentica avrebbe significato
prendere le distanze dall’oggetto del racconto e rinunciare a quel taglio narrativo
particolare, molto commentato, spesso più raccontato che spiegato, più attento al
“costume” e alla episodicità che al tentativo di costruire un profilo politicoistituzionale.
In questo l’autore scontava l’approccio “mitologico”, alle cose proprie e
al proprio passato, tipico della sua generazione. Avrebbe significato inoltre rinunciare
a quelle dosi di bonario paternalismo con il quale Serena amava ammantare anche i
passaggi più ambigui o discutibili.
E’ il caso, per fare un solo esempio e tra i più lontani considerate le numerose
omissioni contemporanee, della questione dell’elezione a massaro della fabrica, ossia
dell’organo di gestione dei beni della parrocchia. Serena ha il merito di togliere il
velo ad una carica molto ambita per le sue implicazioni politiche, sostenendo che per
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essa si ebbero persino dei disordini sulla porta della chiesa. Egli sapeva che la posta
in gioco era il controllo dei fondi provenienti dagli affitti del mercato, ma evitò di
dare peso oggettivo alle innumerevoli denuncie di malversazioni e di brogli elettorali
segnalati con dovizia di particolari dalle visite pastorali. Evitò, cioè, di sviluppare la
penetrante intuizione che lo spinse ad affermare che “i massari avessero il dominio
del paese”, rifiutando quasi di conferire legittimità ad una pratica di potere e di
controllo sociale del tutto politica. La questione per Serena rimase dunque confinata
agli appetiti individuali, alle permanenti “perversioni umane”. Cosa peraltro
verissima. D’altro canto, solo dopo, in un contesto culturale nel quale la storia
avrebbe assunto statuto di nuova scienza, l’antropologia storica ci avrebbe consentito
di definire gli appetiti come dimensione strutturale dell’élite contadina, insita cioè nel
tessuto comunitario.
L’esempio è significativo -ma non è l’unico- del fatto che a Serena
importasse, sopra ogni altra cosa, definire invece i contenuti essenziali del luogo,
sulla scia, peraltro già da tempo percorsa, del culto del fatto che ha largamente
segnato l’erudizione locale post-unitaria. Anche qui gli esempi sono numerosi. Buona
parte dei capitoli de la Cronaca e gli Annali sono infatti testi densissimi, pieni di
cose, di nomi, di fatti sovente elencati in rapida successione, a scopo onestamente
informativo. In effetti, si trattava -come detto- di fondare una storia nel deserto, e in
quest’ottica fan fede le diverse occasioni in cui l’autore demanda a ulteriori e futuri
scavi, confessando di amare la pratica della semina più che del raccolto. Ciò che, se
mai, non poteva assolutamente sapere era che i posteri si accontentassero -per
pigrizia, per incapacità- delle indicazioni, evitando accuratamente gli scavi e
continuando a scrivere libri sulle rendite archivistiche degli Annali. E la rendita
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trascinò con sé anche le censure o le omissioni, assumendo come oro colato ciò che
c’era e evitando di andare a controllare ciò che non c’era.133
Ma questa è naturalmente questione che riguarda pochissimo Augusto Serena,
il quale, beninteso, se non ha passato testimoni non fu solo per mancanza di
prosecutori a ridosso, ma perché egli correva effettivamente un’altra corsa. Egli,
come detto, continuava a pensare a Montebelluna con il cuore dell’esule. Nonostante
l’elevatissimo numero di saggi dedicato al paese nativo o indirettamente al territorio
(più di trenta titoli), come abbiamo visto l’attività culturale dello studioso -intesa,
beninteso, come insieme di relazioni e di interdipendenze- non ruotava affatto attorno
al montebellunese. Nell’ambito dell’universo civile e mentale della fittissima trama di
relazioni culturali e pubbliche che lo rese, secondo una celebre e eccessiva
definizione, l’autentico dittatore culturale di Treviso, Montebelluna appare un pianeta
piccolo e lontano, una dimensione che non a caso coincide con la ricerca amicale e
affettiva, oppure, ma solo occasionalmente, nei servizi, tenui e gradevoli, che l’amico
sindaco, nella fattispecie Guido Dall’Armi, o i responsabili della nuova Biblioteca
Circolante “Antonio Fogazzaro” gli chiedevano (le questioni legate ai primi
ritrovamenti archeologici, al restauro della colonna delle Ducali da Serena sollecitato,
le targhe e le inscrizioni commemorative di cittadini illustri, le indicazioni librarie).134
E come tali servizi venissero sbrigati con piacere, ma anche con benevolenza, tra un
ritaglio di tempo e l’altro, come una pratica gradita ma, insomma, secondaria. E,
ancora. Non è un caso che alla pubblicazione de La cultura umanistica a Treviso
segua un lungo corredo di attestazioni e di relazioni provocate dalla diffusione del
testo; ed è naturale che, al contrario, della stampa di poco successiva degli Annali
della marginale Montebelluna non si trovi nella corrispondenza praticamente traccia.
133 Cfr. alla n.113.
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Ma tutto ciò in fondo dimostra, specie tenendo conto della formazione erudita dello
scrittore e del suo approccio alla storia locale, l’ampiezza degli interessi e degli
ambiti di studio. Bisogna ammettere che Serena è figura di oggettiva ricchezza
culturale e di onnivora curiosità. In un clima culturale come il nostro, ormai dominato
dallo specialismo, nel quale siamo ormai giunti ai sottospecialismi di chi sa tutto di
filande o di beni demaniali ignorando stoltamente il mondo che contiene le prime e le
seconde, è purtroppo inevitabile incocciare in commenti che riducano ricchezza e
versatilità a dispersione. Ebbene, si tratta di un giudizio la cui relativa attendibilità
riguarda se mai un presente ormai settorializzato e gravato dall’accumulazione delle
conoscenze, ma che non può investire stagioni culturali in cui non avrebbe avuto
alcun significato dedicare la propria esistenza intellettuale alle sole filande. C’è un
aneddoto significativo tratto da Coltura e Lavoro che val la pena di richiamare.
Raccogliendo le sollecitazioni di Mario Cevelloto che su, La Provincia di Treviso,
aveva invocato l’apporto di qualche vecchio erudito allo scopo di saperne di più
attorno ad un fantomatico racconto di argomento trevisano (si trattava de “La
ricamatrice di Treviso”), Serena rispondeva sornione e arguto:
Ho aspettato parecchi giorni per vedere se qualcuno, autorevole, rispondesse: ma ora, non sapendo
quando s’incomincia a diventar vecchi, e quando si possa presumere di essere eruditi, mi sono
licenziato a rispondere io alle domande...135
Serena era anche questo, un istintivo. E’ evidente che, proprio per questo, la vastità
degli appetiti e dei nodi da sciogliere ha pagato a volte il prezzo dell’analisi. Molte
sue pagine possono apparire vaghe o ridursi a informative di rimando, e in altre
prevalgono, come detto, evidenti intenzionalità ideologiche; e anche se in qualche
134 Corrispondenza privata, anni 1908 (ducali), 1911 (conferenze), 1912 (Biblioteca), 1913 (, siti
archeologici, onorificenze), 1914 (consigli scuola tecnica).
135 Cl, LI (1910), n.5.
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caso mancano gli scavi d’archivio adeguati, è altrettanto evidente che, col senno di
poi, con gli zoccoli conoscitivi assicurati dai pionieri dell’erudizione, con la
progressiva e accresciuta capacità di ricerca, con l’affermarsi dei nuovi modelli
storiografici, è sin troppo semplice, certamente ingeneroso, assolutamente sterile
stilare improprie pagelle.
Augusto Serena fu uno studioso attento e scrupoloso, attento e scrupoloso
come doveva e poteva essere un intellettuale in servizio permanente e universale tra
Otto e Novecento. Ma per il luogo in cui ci troviamo Egli fu soprattutto un amante: ed
è proprio dell’amante la densità sentimentale della raffinata citazione dantesca con
cui apriva al lettore le pagine de la Cronaca Montebellunese
Poi che carità del natio loco
mi strinse, raunai le fronde sparte
(Inf. XIV, 1-2)
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